dopo l’assemblea a preturo altri no alla localizzazione
Impianto recupero fanghi Giannangeli va all’attacco
L’AQUILA. «L’assemblea pubblica svoltasi il 2 settembre scorso convocata dal consiglio direttivo dell’Aduc di Preturo per discutere del progetto di realizzazione dell’impianto per il recupero dei...
L’AQUILA. «L’assemblea pubblica svoltasi il 2 settembre scorso convocata dal consiglio direttivo dell’Aduc di Preturo per discutere del progetto di realizzazione dell’impianto per il recupero dei fanghi derivanti dal trattamento dei reflui civili, ha posto in evidenza le enormi criticità dello stesso».
A fare il punto sulle tante, troppe, criticità emerse sul nuovo impianto di recupero fanghi a Sassa, è la consigliera dell’Aquila coraggiosa Simona Giannangeli.
«Il consiglio direttivo dell’Aduc ha espresso la totale contrarietà alla realizzazione di questo impianto, così come è stata evidente la contrarietà della comunità residente. Lo “Studio Preliminare Ambientale”, presentato alla Regione Abruzzo per essere sottoposto alla procedura di Verifica di Assoggettabilità a VIA l’8 luglio scorso, è stato redatto dalla ditta DiGi Costruzioni Srle la prima domanda è: trattasi di una iniziativa esclusivamente privata, della quale il Comune e la Provincia non ne erano a conoscenza? Dallo studio presentato si legge che l’impianto in esame applica un processo di trattamento–recupero definito HTC, una tecnologia innovativa di conversione di biomasse, di cui non ci sono indicazioni sul funzionamento, sull’impatto di questi processi sul sito, sugli aspetti gestionali, variabili che hanno fortemente preoccupato la popolazione. L’impianto è stato pensato nel Nucleo sviluppo industriale di Sassa perché così prevede la normativa, ma questo solleva una riflessione proprio sulla presenza “industriale” dell’area e sul suo utilizzo in questi anni: sono presenti alcune attività commerciali e artigianali, uffici/servizi, ma niente fabbriche che possano caratterizzare l’aspetto industriale del sito. Inoltre, è da sottolineare che il sito non può essere pensato laddove confina con attività agricole produttive, poco distante da un’importante area archeologica, a 800 metri dal Progetto Case dove già è prevista la Scuola nazionale dei vigili del fuoco e a soltanto 280 metri da edifici residenziali. Sul piano ambientale i problemi riguardano l’eventuale contaminazione del suolo e i danni alla falda acquifera, le emissioni polverulente e odorigene, il carico di mezzi pesanti che andrebbe ad aggiungersi al traffico su tutta la viabilità che interessa l’area est–ovest del territorio. Dal punto di vista economico e occupazionale, l’impianto non prevede una presenza occupazionale tale da giustificarlo, considerando che la maggior parte del processo produttivo risulta essere automatizzato, così come lo stesso Nucleo di sviluppo industriale a Sassa che non ha mai prodotto un incremento produttivo dal punto di vista economico a differenza di quanto è stato sempre dichiarato da chi in passato lo ha voluto. Un impianto pensato per trattare 20mila tonnellate annue di materiale refluo trattato non è un impianto “pilota” e tanto meno una iniziativa di carattere “circolare” né “sostenibile”, ma risulterebbe essere un impianto di grave impatto ambientale, perché progettato ad accogliere refluo dall’Adriatico al Tirreno, come riportato nello studio preliminare e non un impianto a servizio dei comuni limitrofi».
A fare il punto sulle tante, troppe, criticità emerse sul nuovo impianto di recupero fanghi a Sassa, è la consigliera dell’Aquila coraggiosa Simona Giannangeli.
«Il consiglio direttivo dell’Aduc ha espresso la totale contrarietà alla realizzazione di questo impianto, così come è stata evidente la contrarietà della comunità residente. Lo “Studio Preliminare Ambientale”, presentato alla Regione Abruzzo per essere sottoposto alla procedura di Verifica di Assoggettabilità a VIA l’8 luglio scorso, è stato redatto dalla ditta DiGi Costruzioni Srle la prima domanda è: trattasi di una iniziativa esclusivamente privata, della quale il Comune e la Provincia non ne erano a conoscenza? Dallo studio presentato si legge che l’impianto in esame applica un processo di trattamento–recupero definito HTC, una tecnologia innovativa di conversione di biomasse, di cui non ci sono indicazioni sul funzionamento, sull’impatto di questi processi sul sito, sugli aspetti gestionali, variabili che hanno fortemente preoccupato la popolazione. L’impianto è stato pensato nel Nucleo sviluppo industriale di Sassa perché così prevede la normativa, ma questo solleva una riflessione proprio sulla presenza “industriale” dell’area e sul suo utilizzo in questi anni: sono presenti alcune attività commerciali e artigianali, uffici/servizi, ma niente fabbriche che possano caratterizzare l’aspetto industriale del sito. Inoltre, è da sottolineare che il sito non può essere pensato laddove confina con attività agricole produttive, poco distante da un’importante area archeologica, a 800 metri dal Progetto Case dove già è prevista la Scuola nazionale dei vigili del fuoco e a soltanto 280 metri da edifici residenziali. Sul piano ambientale i problemi riguardano l’eventuale contaminazione del suolo e i danni alla falda acquifera, le emissioni polverulente e odorigene, il carico di mezzi pesanti che andrebbe ad aggiungersi al traffico su tutta la viabilità che interessa l’area est–ovest del territorio. Dal punto di vista economico e occupazionale, l’impianto non prevede una presenza occupazionale tale da giustificarlo, considerando che la maggior parte del processo produttivo risulta essere automatizzato, così come lo stesso Nucleo di sviluppo industriale a Sassa che non ha mai prodotto un incremento produttivo dal punto di vista economico a differenza di quanto è stato sempre dichiarato da chi in passato lo ha voluto. Un impianto pensato per trattare 20mila tonnellate annue di materiale refluo trattato non è un impianto “pilota” e tanto meno una iniziativa di carattere “circolare” né “sostenibile”, ma risulterebbe essere un impianto di grave impatto ambientale, perché progettato ad accogliere refluo dall’Adriatico al Tirreno, come riportato nello studio preliminare e non un impianto a servizio dei comuni limitrofi».