«Caffè Venezia, i clan non c'entrano»

I Granatiero: nessun riciclaggio di denaro, escludiamo il fallimento

PESCARA. «Accanimento giudiziario» contro il Caffè Venezia e «assoluta infondatezza delle accuse». Dopo la richiesta di fallimento per sei milioni di euro di debiti e la chiusura dell'inchiesta sul presunto riciclaggio, l'avvocato del Caffè Venezia, Giuseppe Cantagallo, contesta le basi dell'indagine: i Granatiero, dice, non c'entrano con il clan pugliese dei Romito.

Si dicono «meravigliati» i Granatiero, famiglia puglise trapiantata a Pescara, per la richiesta di fallimento presentata dal pm Gennaro Varone per le quattro società che raccolgono i locali sotto le insegne Caffè Venezia nell'omonima via e in piazza Salotto, il panificio Piglia la Puglia in via Venezia e il pub Piano Terra in corso Manthonè. «L'asserita insolvenza», spiega l'avvocato dei Granatiero, Giuseppe Cantagallo, «sarebbe fondata ancora una volta (così come la richiesta di sequestro), sulla relazione di finanza e questura. È necessario precisare», dice, «che la relazione analizza una contabilità societaria del 2007/2008, risultando, quindi, priva di attualità; cosicché la circostanza che l'intervenuta "amministrazione giudiziaria" abbia interrotto i flussi di denaro di provenienza dubbia risulta manifestamente errata».

Per i Granatiero, «nella relazione, né finanza né questura chiariscono come si concilierebbe il contestato (e inesistente) reato di riciclaggio con il paventato grave stato di insolvenza delle società: delle due l'una», sostiene l'avvocato, «o vi è riciclaggio e, quindi un cospicuo reimpiego di denaro di provenienza delittuosa, e sul punto il tribunale del Riesame di Pescara si è già espresso escludendolo, o vi è un grave stato di insolvenza (inesistente stante l'ordinaria gestione delle attività)».

Sono sette gli indagati: secondo l'accusa, è da Manfredonia - attraverso Antonio Michele e Mario Luciano Romito - che sarebbe arrivato, periodicamente, denaro da reinvestire e destinato ai fratelli Michele Sebastiano e Pasquale Granatiero, considerati i reali dominus gestori delle attività economiche pescaresi e ai quali sono legati gli altri indagati: la sorella Rita Lucia Granatiero e suo marito Severino Prato, la mamma Antonia Grieco, Anna Brigida moglie di Sebastiano e il testimone di nozze di quest'ultimo, Giuseppe Prencipe, amico di famiglia.

Ma la difesa punta sulla sentenza del Riesame che ha dissequestrato i locali: «Non emergono elementi concreti, neppure in nuce, per allegare che i Romito ponevano in essere reati capaci di produrre ingenti somme di denaro, che i predetti erano in collegamento con gli indagati e che illecitamente finanziavano le attività imprenditoriali dei Granatiero in Pescara».

Cantagallo chiude così: «Confidando che la legittima attività di indagine non si concretizzi in accanimento giudiziario, che senz'altro provocherebbe un disastro economico alle attività e alle circa 120 famiglie dei dipendenti, si ribadisce l'assoluta infondatezza delle accuse ai Granatiero». (p.l.)

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