«Così ho scolpito un lupo su mio padre»

L’artista di Italian Style Tattoo in via D’Annunzio: ritratti su pelle come quadri, ho fatto anche Del Piero, Baggio, Banfi e Calà

MONTESILVANO. «Il primo tatuaggio l’ho fatto sul sedere di quella che sarebbe diventata mia moglie: le ho tatuato due ciliege. Il secondo l’ho fatto sul braccio di mio padre: un lupo per ricordargli i tempi del militare. Adesso, io e lui stiamo pensando di continuare con l’immagine di San Michele Arcangelo sull’altro braccio ma non abbiamo avuto ancora tempo». Lorenzo Di Bonaventura, 30 anni, fa il tatuatore in via D’Annunzio a Montesilvano nel suo studio Italian Style Tattoo. «Prima di diventare tatuatore ho fatto quasi tutti i lavori del mondo», racconta, «dal grafico al commesso fino al cameriere e al vigilantes. Poi, ho capito che la mia strada era proprio quella di fare tatuaggi: in fondo, nel mio inconscio, ho sempre voluto fare il tatuatore. Questa è una cosa che, se la fai, devi farla a 360 gradi. Quando sei tatuatore, l’attività diventa la prima cosa: è una passione continua che va alimentata e ti cambia la vita. Per me», osserva Di Bonaventura, «il tatuaggio non è fare la fotocopia di quello che c’è su un catalogo: è un rapporto intenso tra me e i miei clienti perché, in quel momento, io sto imprimendo loro un marchio che dura per tutta la vita. Ecco perché si deve creare un feeling tra me e loro: io vivo la mia professione quasi come un prete. Fare il tatuatore è un po’ una vocazione».

A 15 anni, Di Bonaventura si è fatto fare il primo tatuaggio: «Pensare a 15 anni fa, un ragazzino di appena 15 anni con un tatuaggio. A Città Sant’Angelo, il mio paese di origine, mi guardavano tutti come un appestato», ricorda il tatuatore. Poi, la prima convention a Londra nel 2005 e la voglia e la necessità di aprire uno studio tutto suo: «Io sono un caso anomalo», riflette Di Bonaventura, «appassionato di disegno e dopo l’istituto d’arte, ho fatto la gavetta in casa più che in uno studio. Ora, sono imprenditore di me stesso e il mio studio è aperto da 4 anni».

Il credo di Di Bonaventura è questo: «Un arte non si commercializza anche se un lavoro ti porta a scendere a compromessi con i clienti ma ci sono limiti oggettivi al di sotto dei quali non si può andare. Purtroppo, tanti si inventano tatuatori comprando macchinette su Internet e inchiostri cinesi a 3 euro a boccetta che fanno soltanto male: guadagnano per i primi mesi e poi sono destinati a chiudere. Del resto, quegli stessi tatuaggi che fanno sono la pubblicità peggiore per loro».

Di Bonaventura fa tatuaggi realistici: sono ritratti sulla pelle come oli su tela. «Uno juventino folle», rivela, «si è fatto tatuare la faccia di Alessandro Del Piero che fa la linguaccia. Poi, si è presentato dal calciatore per mostrarglielo e lui è rimasto quasi senza parole: “Oddio mi fa senso rivedermi così, sembro proprio io”, ha detto Del Piero. Poi, il calciatore ha messo un autografo sul braccio proprio sotto il ritratto e ho tatuato anche la sua firma». Altri ritratti impossibili da non notare sono quelli dei personaggi cult dei film anni Ottanta come Lino Banfi che si tiene la testa con le mani e Gerry Ca che fa il gesto della «doppia libidine». «Un altro mi ha contattato perché vuole farsi tatuare il viso di Renato Pozzetto», dice Di Bonaventura, «ma il tatuaggio più bello che ho fatto finora è un braccio intero, in bianco e nero, dal senso mistico: un percorso tra religione e realtà che adesso continuerà anche su schiena e petto».

Fare i tatuaggi, afferma Di Bonaventura, «è un po’ come andare a correre, oltre al talento conta anche l’allenamento e bisogna sapersi gestire: non si può andare a dormire all’alba se il giorno dopo ti aspetta una giornata di concentrazione».

Per uno che ha tatuato il padre – che prima di allora non aveva mai avuto un tatuaggio – sarà quasi impossibile dire no al figlio che sta per nascere: «Il mio primo figlio nascerà ad aprile, quando avrà 16 anni non potrò dirgli di no ma sicuramente gli dirò da chi andare oppure sarò proprio io a fargli il primo tatuaggio». Perché Di Bonaventura lo sa: tatuarsi a Montesilvano non è la stessa cosa di farlo in una metropoli come Londra o New York. «Lì», avverte, si può andare in giro con le mani o la faccia tatuate, invece, da noi questo non è ancora possibile. Ecco perché basta un errore, per incontrare difficoltà a trovare lavoro e avere danni per tutta la vita. Nelle megalopoli, ti prendono a lavorare per quello che sei e non per quello che appari, invece, da noi non è proprio così: forse, sarà così tra una quindicina d’anni».

I tatuaggi vanno di moda: «Sono un bene di lusso», spiega Di Bonaventura, «prima quando se ne parlava si pensava soltanto a carcerati, prostitute e marinai. Adesso, vengono anche mamma e figlia che vogliono lo stesso disegno oppure uomini di 50 o 60 anni: a mio suocero, per esempio, ho disegnato un delfino e vuole pure un cavalluccio marino».

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