La Corte dei conti riabilita l’Aca: compensi adeguati

Giovanna Brandelli

6 Dicembre 2025

Ribaltata la sentenza di primo grado, nessun danno erariale. Emolumenti al consiglio di amministrazione mai superiori ai limiti previsti dalla legge

PESCARA. I confini tra il lecito e l’illecito, nella spesa pubblica, sono malleabili. Si tracciano, si cancellano e, a volte, si riscrivono. L’Aca, l’azienda comprensoriale acquedottistica che gestisce il servizio idrico per gran parte dell’Abruzzo (a partire da Pescara e Chieti), saluta con un sospiro di sollievo la fine della vicenda degli stipendi agli amministratori. La Corte dei conti di Roma a sezioni unite si è pronunciata sul caso dei compensi ricevuti dal cda nato il 7 giugno dal 2022 – e presieduto da Giovanna Brandelli – respingendo la sentenza di primo grado della sezione regionale dell’organo, che aveva valutato i proventi superiori ai limiti previsti dalla legge.

L’azienda, assistita dai legali Sergio Della Rocca e Giancarlo Tittaferrante, è riuscita quindi a dimostrare la legittimità dei compensi, cancellando definitivamente l’ipotesi di danno erariale che era stata prefigurata in primo grado. «Con 80 milioni di euro di ricavi certificati dal bilancio approvato lo scorso settembre, Aca si conferma il gestore idrico più grande e sano della regione», commenta con soddisfazione l’azienda. La vicenda, che aveva preso le mosse da una segnalazione del ministero dell’Economia e da una contestazione dell’Ersi Abruzzo, ruotava attorno a un principio di austerità introdotto dalla “spending review”: il costo relativo ai compensi degli amministratori non può superare l’80% di quello sostenuto nel 2013. Un confine preciso, dunque, un limite ben quantificabile, che in primo grado la Corte dei conti regionale, presieduta da Ugo Montella, aveva bollato come superato dal cda dell’azienda.

In primo grado Aca aveva provato a sostenere che il bilancio consuntivo del 2013 non fosse attendibile a causa di presunte «anomalie». Tra le varie argomentazioni, il fatto che un membro del consiglio di amministrazione, in quanto sindaco di un comune socio, non avesse percepito alcun compenso, che gli stipendi di novembre e dicembre dell’amministratore unico fossero stati erogati con ritardo e che mancassero emolumenti legati alla performance e i compensi del collegio sindacale.

Ragioni che non erano state abbastanza consistenti da convincere l’organo giudicante in primo grado, che aveva bocciato anche l’altra tesi della difesa, quella di assimilare la figura del «procuratore» a quella di un amministratore. Secondo la Corte abruzzese la distinzione tra le due figure è netta: il primo è una figura disciplinata dal codice civile e nominato dal cda per compiti specifici, non è un organo sociale e non può essere confuso con un amministratore. In quel contesto, i conti davano torto ad Aca: nel 2013 i compensi degli amministratori erano stati pari a 88.715 euro; applicando la riduzione del 20%, il limite massimo della spesa pubblica sarebbe dovuto essere di 70.972 euro, e invece il compenso effettivamente erogato è stato di 109.617 euro. Calcoli infine smentiti dalla sentenza di secondo grado della Corte dei conti. Per conoscere le motivazioni, però, bisognerà ancora attendere.

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