La famiglia Liuzzi positiva al Covid, l’ex pilota ricoverato in ospedale
Contagiate anche moglie e figlia: Tonio salvo grazie al professor Vecchiet
PESCARA. «È Covid. Moriremo» è il primo, spaventoso, pensiero. Quello che ti toglie il respiro e fa girare la testa. La diagnosi impietosa, il ricovero in ospedale, l'ossigeno per spingere aria nei polmoni infiammati, i giorni dell’isolamento forzato in casa quando il controllo della paura scandisce il tempo che passa e, infine, la speranza della guarigione. Una tempesta di emozioni che in un attimo si è trasformata «in un viaggio all'inferno» per Francesca Caldarelli e Vitantonio “Tonio” Liuzzi, la coppia dello sport e dell’imprenditoria pescarese contagiata insieme alla figlioletta di tre anni e mezzo. L’imprenditrice e l’ex pilota di Formula 1 lui, creatori del brand “Penelope a casa” (ristoranti a Sambuceto e Milano) hanno contratto il virus circa 10 giorni fa mentre si trovavano nella città lombarda dove si sono stabiliti da tempo e dove la situazione della pandemia è esplosiva. Ma per le cure, e col desiderio-necessità di avere accanto la famiglia, i coniugi Liuzzi hanno scelto di tornare a Sambuceto. Francesca è in isolamento con la piccola, e Tonio, che ha avuto la peggio, è ricoverato nella clinica di Malattie Infettive dell'ospedale di Chieti, diretta dal professor Jacopo Vecchiet. «Mio marito è vivo grazie alle cure e alla grande umanità del professor Vecchiet e del suo staff che ringrazio di cuore», dice Francesca mentre racconta questi giorni da incubo.
Come e quando avete scoperto di essere stati contagiati?
«È accaduto venerdì 23 ottobre. Eravamo a Milano. Febbre, tosse, mal di gola, perdita totale dell’olfatto e del gusto. Non sento neppure i profumi. Subito i tamponi e la diagnosi impietosa: Covid. Infettata anche la piccola. Nel frattempo decidiamo di tornare a Sambuceto per avere il sostegno della famiglia. Ci mettiamo in quarantena e rispettiamo tutti i protocolli. Le condizioni di salute di Tonio, però, giovedì scorso peggiorano. Il viso pallido, gli occhi cerchiati, la fatica a respirare. È un corsa affannosa contro il tempo. Chiamo il medico, l’ultima immagine di mio marito sull’ambulanza mi addolora. Immediato il ricovero nella clinica del professor Vecchiet a Chieti. Polmonite bilaterale. Gli somministrano il Remdesivir, la ripresa è rapida ma deve proseguire le terapie».
Come sta?
«Resta in ospedale. Se non fosse stato per il tempestivo intervento di medici e infermieri del reparto Infettivi, mio marito non ce l’avrebbe fatta. È arrivato in ospedale con l’ossigeno, respirava malissimo. Ora migliora, sto rivedendo la luce ma per noi, questo, è un viaggio all'inferno».
Lei come vive l’isolamento?
«E' un incubo. Ora ho solo tosse, ma vivo nel terrore che possa accadermi qualcosa, che possa degenerare la mia salute. Chi aiuterebbe la piccola? Insieme giochiamo e preghiamo. Lei dice: “Gesù, riporta a casa il mio papà”. I medici dell'Usca ci assistono e sono meravigliosi. I miei genitori mi lasciano la spesa e piatti pronti davanti al portone, non posso incontrarli. Mi mancano e mi manca la libertà, ho avuto paura di non venirne fuori. È psicologicamente devastante questa situazione».
Il messaggio a chi sottovaluta il pericolo?
«Attenzione, perché non è normale influenza. Per fortuna che i nostri medici sono delle eccellenze, la nostra sanità funziona benissimo, ma va aiutata con i fondi e con lo snellimento della burocrazia».
E le sue attività?
«Tutte chiuse, per ora. È necessario il lockdown. So di parlare da una posizione privilegiata, ma dovevo scegliere tra soccombere a causa delle perdite oppure fermarmi per evitare perdite maggiori».
Cosa farà dopo guarita?
«Raggiungerò il Gran Sasso, urlerò e piangerò».
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