«Noi che diamo sollievo ai malati in corsia» 

In ospedale quattro cappellani si danno il turno giorno e notte per dare conforto ai pazienti Covid

PESCARA. Una carezza sul viso, le mani che si intrecciano e una parola di conforto sussurrata. Ai malati manca l'affetto e la vicinanza dei familiari che non possono più affollare le sale di degenza ormai da nove mesi, dall’inizio dell’emergenza coronavirus.
L’ostia consacrata per l’Eucaristia arriva ai pazienti sigillata in una busta di plastica sterilizzata. L’estrema unzione si dà con le mani protette dai guanti e il volto coperto dalla visiera. I pazienti possono comunicare con i loro cari attraverso il telefono, ma nulla può sostituire il calore di uno sguardo e la presenza di un parente stretto accanto al letto.
E così, agli infermi, pensano i quattro cappellani del presidio ospedaliero, don Giancarlo Mandelli, don Mario Probi e i camilliani padre Raoul Sankara e padre Desirè Oubidia. Ogni giorno danno sostegno morale e psicologico ai degenti di tutti i reparti, al personale medico e infermieristico, agli operatori socio sanitari in trincea. Salgono e scendono gli otto piani del presidio di via Fonte Romana, confessano, benedicono, celebrano messe, dispensano gioia e sorrisi. Le regole sono sempre piuttosto restrittive in epoca Covid, ma il tramite con i pazienti è il personale medico e infermieristico. Tra loro c’è uno scambio continuo di parole e gesti di straordinaria abnegazione e umanità che alleggeriscono l'atmosfera pesante delle corsie. Protetti da mascherina, guanti, visiera e due camici sovrapposti, i cappellani si danno il turno notte e giorno in ospedale per diffondere sollievo, speranza e gioia, nel rispetto delle norme di sicurezza.
Al dipartimento Covid non entrano i sacerdoti di presidio, si muovono tra i pazienti allettati solo con gli occhi e gli sguardi degli infermieri e dei giovanissimi medici arrivati da tutta l’Italia per fare l’esperienza che cambierà il corso delle loro vite.
«I malati soffrono perché non possono avere i loro familiari accanto, ma non sono disperati, c’è Dio con loro», afferma il cappellano di presidio don Giancarlo Mandelli, 70 anni, milanese di origine, ormai naturalizzato pescarese, «abbiamo un rapporto meraviglioso con gli infermieri che ci chiamano quando i pazienti si sentono soli, lontani dalle famiglie. Hanno il sostegno della preghiera con la quale cerchiamo di dare forza agli altri, li incoraggiamo perché talvolta sono sopraffatti dalla paura della malattia. Ma con noi si sentono al sicuro». Quando vogliono prendere la comunione «inviamo loro, attraverso gli infermieri, l'ostia consacrata sigillata e igienizzata».
Nel caso di estrema unzione, i sacerdoti infilano i camici e «con le mani guantate facciamo il segno della croce» sulla fronte o sulle mani di chi sta per andarsene. I momenti che richiedono ancor più delicatezza di gesti e parole sono all’obitorio, quando i religiosi incontrano gli sguardi addolorati dei familiari dei defunti. Don Giancarlo Mandelli, sacerdote dal 1982, per 10 anni cappellano del carcere di San Donato e da 15 nella trincea ospedaliera insieme a don Mario Probi, anch'egli custode delle cappellette di presidio, Gesù Buon Samaritano e Sant'Anna, vive quella difficile quotidianità «con molta serenità. È sicuramente un momento duro», ma «noi cerchiamo di dare il nostro contributo. Preghiamo il Signore affinché ci aiuti, affinché la pandemia passi». E sottolinea il grande sacrificio del personale sanitario: «Sono molto stanchi perché fanno turni massacranti, ma sono sempre molto disponibili e accoglienti».
Presto anche ai degenti dell’ospedale pescarese verranno consegnate «le immaginette con la nuova versione del Padre Nostro» rivisitata da papa Francesco e saranno preparate speciali preghiere per il Santo Natale. (c.co.)
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