San Michele, la chiesa più antica della città con quattromila fedeli

A Montesilvano Colle il sito religioso risale a tremila anni fa Il parroco: vorremmo essere più attivi a livello sociale

MONTESILVANO. È l’altra faccia di Montesilvano Colle, dove da una parte chiudono farmacia, edicola e negozi vari e dall’altra la vita religiosa travalica i tempi e la crisi: al di là di tutto, infatti, il Colle resta la culla di un sito sacro da tremila anni.

Un sito che, da un tempio pagano originario, passando per il IX secolo attraverso una chiesa paleo-cristiana dedicata a san Quirico martire, dal 1100 è sede della più antica chiesa di Montesilvano e, fino al 1920, anche l’unica.

Rimaneggiato nei secoli, oggi il luogo di culto dedicato a San Michele Arcangelo, con l’attuale corpo cinque-seicentesco, è guidato da sei anni da don Roberto Bertoia, 46 anni, il quale non è solo parroco, ma anche cancelliere della diocesi di Pescara-Penne. In altre parole, don Roberto è anche il notaio di tutta la circoscrizione vescovile, un supervisore che attesta e certifica i documenti episcopali.

Dunque, non proprio margine dello spazio cittadino, quello del Colle, se si aggiunge che la parrocchia è per estensione la più vasta dell’intera città (che supera 52mila abitanti)coprendo ben quaranta chilometri quadrati.

Un punto di raccolta e di ritrovo, quello della chiesa-madre di Montesilvano Colle, che con i circa suoi quattromila parrocchiani è probabilmente il fulcro di incontro più numeroso di tutta la zona.

«Noi abbiamo più o meno quattrocento presenze settimanali di persone che frequentano i locali della chiesa», spiega padre Roberto, il quale si sofferma anche su analisi sociologiche. «Qui siamo nel vecchio centro storico e dunque lo spirito è quello di paese. Di conseguenza, non c’è molto attivismo sul sociale in quanto la popolazione vive l’aiuto principalmente come aiuto familiare e non come aiuto parrocchiale, di cui non avverte l’urgenza».

Ma pur tra mille difficoltà, c’è sempre il baluardo della parrocchia anche a sostegno di realtà degradate come quella, sottolineata dal sacerdote, delle case popolari. «Un po’ nella casa parrocchiale, un po’ nel centro sociale per gli anziani del Comune, e poi presso alcune famiglie che hanno offerta la propria disponibilità, oltre a degli spazi all’aperto, riusciamo a organizzare attività di settore», aggiunge padre Roberto.

Gli incontri sono quelli organizzati dall’Azione cattolica, cui partecipano 140 bambini delle scuole elementari, e che terminano con una messa. Oppure gli incontri che vedono protagonisti trenta ragazzi delle scuole superiori, impegnati il mercoledì in appuntamenti che hanno come scopo «la formazione, la crescita, il confronto sui princìpi della religione. Tuttavia», sottolinea sconsolato il presule, «se organizziamo un incontro con le famiglie dei 140 ragazzi se ne presentano sì e no dieci».

E il flash che dà don Roberto, mentre non tralascia di ricordare che anche il presepe vivente, dal 2007, per mancanza di persone non si organizza più, resta impietoso: «Da queste parti non esistono centri sportivi, se si escludono alcune società private, o centri sociali. Mi duole dirlo, ma è così».

E il perché di questo deserto il sacerdote lo spiega senza giri di parole: «Qui esistono tre tipologie di persone: gli abitanti del centro, che hanno un atteggiamento aristocratico, gli abitanti della campagna, i quali non si sentono accettati, e gli inurbati, che si ritirano a casa e hanno rapporti soltanto con i posti di provenienza. Noi vogliamo fare di più», conclude don Roberto, «ma i tentativi ci dicono che non c’è ancora un’accettazione della proposta parrocchiale come qualcosa di socialmente utile. Da queste parti la chiesa è vissuta perlopiù solo come luogo di culto». Insomma, c’è molto da fare, ma è difficile fare.

Vito De Luca

©RIPRODUZIONE RISERVATA