Un anno senza Morosini, il ricordo dei compagni "Il mio amico Piermario, un esempio per tutti"

Piccolo, attaccante del Lanciano, racconta l’ex compagno di squadra a Livorno: «Umile e riservato: viveva in funzione della fidanzata. Un ragazzo eccezionale"

LANCIANO. Antonio Piccolo, attaccante esterno della Virtus Lanciano, il giorno della morte di Piermario Morosini non era all'Adriatico di Pescara, dov'era di scena il suo Livorno, ma a casa. «Non fui conovocato per un problema alla spalla», rammenta ad un anno dal triste evento, «per cui seguii la gara dalla tv. E forse è stato meglio così, anche se la drammaticità di quegli istanti l'ho vissuta ugualmente, sia pur a tanti chilometri di distanza».

Qual è l’immagine che più le è rimasta impressa di quel pomeriggio?

«La disperata voglia di vita del Moro, visti i suoi ripetuti tentativi di rimettersi in piedi. Di non arrendersi ad un destino che aveva invece deciso diversamente. Perché Piermario era così: attaccatissimo alla vita e sempre sorridente».

Quasi un paradosso, se si pensa alle tante disgrazie familiari.

«Di questo, per pudore ed imbarazzo, non abbiamo mai parlato, pur sapendo bene cosa avesse passato (la prematura morte dei genitori e del fratello, ndc) nel giro di qualche anno. Anche lui, del resto, non aveva mai affrontato l'argomento e forse, proprio in reazione alle mazzate avute dalla vita, cercava di reagire in quel modo».

Dovesse ricorrere ad un aggettivo per descriverlo?

«Era un ragazzo d'oro. Nel senso letterale della parola. Uno a cui era praticamente impossibile non voler bene. Lo si è visto in occasione dei funerali. Quando muore un calciatore in circostanze così drammatiche, il rischio di enfatizzarne il ricordo è altissimo, ma mai come nel suo caso, le parole buone spese c'erano tutte. Non è un caso, del resto, se in così breve tempo (essendo arrivato a Livorno, via Udine, appena tre mesi prima, ndc) si è fatto benvolere da tutti».

Vi frequentavate anche al di fuori del campo di calcio? «No, dato che il suo tempo libero lo dedicava alla ragazza, alla quale era legatissimo. Era lei, assieme all'unica sorella rimasta, il suo punto di riferimento. Per il resto, lo ricordo come un ragazzo normalissimo, con i gusti e gli hobby comuni a tanti: la play station, il cinema, la musica».

Un ricordo invece di Morosini calciatore?

«Era un generoso. Uno che non si tirava mai indietro e non mollava di un centimetro, in partita come in allenamento. Ed era anche bravo, avendo militato nell'under 21 prima che un infortunio ne bloccasse l'ascesa, costringendolo a scendere di nuovo in B».

L'ultima volta che lo ha visto?

«Poco prima della partenza della squadra per Pescara. Era caricatissimo e sicuro di tornare a casa con un risultato positivo. Ci salutammo dandoci appuntamento per la ripresa degli allenamenti, e invece...».

Nella partita disputata quest'anno col Verona, al Biondi, dopo aver segnato la rete del momentaneo pareggio, ha mostrato una t-shirt con la sua foto e la scritta "Ciao Mario". Come mai proprio in quella circostanza e non, ad esempio, in altre?

«La cosa era voluta. Un modo per rispondere a quello sparuto gruppo di tifosi scaligeri che, in occasione della gara giocata dal Verona a Livorno, si lasciò andare a cori offensivi nei suoi confronti. Una cosa disgustosa, soprattutto in considerazione della statura morale della persona presa di mira».

Dovesse segnare in occasione della trasferta di Bari, ha già in mente qualche dedica particolare?

«Dico la verità: non ci ho proprio pensato, per cui deciderò al momento, qualora andassi a segno».

C'è qualcosa che avrebbe voluto dirgli e, non avendone avuto il tempo, si pente di non aver detto?

«Tante, ma su tutte una. E cioè che era un ragazzo eccezionale e un esempio per tutti. Magari in cuor suo se l'immaginava, visto l'affetto con cui lo avevamo accolto, sin da subito, nello spogliatoio amaranto, ma se solo avessi immaginato, che di lì a poco non l'avrei rivsto più, mi sarebbe piaciuto dirglielo in faccia».

Stefano De Cristofaro

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