Uno chalet in legno per far incontrare i detenuti e i loro figli

Iniziativa di Telefono azzurro nel carcere di San Donato Il direttore Pettinelli: «Sì ai permessi a chi si comporta bene»

PESCARA. Alle finestre, al posto delle sbarre, ci sono Minnie e Topolino. Al di là dei vetri, il verde, gli alberi, la strada, le persone che passano. La vita. È ormai un appuntamento atteso con ansia quello che i detenuti del carcere di San Donato hanno con i propri figli all'interno della «Casetta azzurra». Una struttura tutta di legno, dal sapore montano, piena di giochi e disegni attaccati alle pareti, che giorno per giorno aiuta chi è rinchiuso per scontare una pena a ricostruire i propri affetti, a riallacciare legami che sembravano persi, persino ad imparare come si fa ad essere un vero padre.

La Casetta in effetti non è colorata, ma prende il nome dall’associazione che l'ha fortemente voluta, il Telefono azzurro, inserendola nel «Progetto carcere», che ha come obiettivo il recupero del rapporto genitori-figli e soprattutto la protezione dei più piccoli, dei più indifesi. Un progetto raccolto con entusiasmo quattro anni fa dalla responsabile abruzzese dell'associazione, la psicologa Giulia Amodio, che ha trasformato con grande caparbietà e amore questa idea in realtà. «Ormai c'è la corsa dei detenuti ad accaparrarsi qualche ora settimanale nella Casetta azzurra», racconta Franco Pettinelli, direttore della casa circondariale di San Donato, visibilmente soddisfatto dell'iniziativa, «e per la richiesta bisogna mettersi in fila. Il risvolto più interessante è che per ottenere l'incontro con i propri figli in questo bel posto i detenuti devono guadagnarselo con la buona condotta. È un premio che lascia il segno. Ho visto con i miei occhi grandi risultati e per questo sto cercando di aumentare i giorni disponibili da tre a quattro alla settimana. Alcuni detenuti hanno imparato lì a leggere storie e favole ai propri figli». Attualmente la casa circondariale di San Donato ha 300 detenuti divisi in settore penale e giudiziario. Ogni detenuto ha a disposizione 6 ore al mese di colloqui con parenti e amici e un numero prestabilito di telefonate settimanali con schede prepagate fornite di microchip.

La «Casetta azzurra» si trova all'interno della cinta muraria ma fuori dal carcere, ed è l'unica in Italia ad avere questa collocazione. È nata grazie a donazioni di privati. Intorno ha un giardinetto recintato che i volontari dell'associazione stanno attrezzando per renderlo fruibile ai bambini e dove ora spicca un bell'albero di Natale. L'interno è strutturato come una vera casa: uno spazio cucina, un angolo con tappeto verde e cuscini, due tavolini piccoli e uno più grande con le sedie, uno scaffale con i libri per bambini, tante bambole, pupazzi, giochi e persino una bici e una moto giocattolo.

Sulle pareti tanti disegni pieni di speranza e di amore, dove spiccano frasi come «Ti voglio bene papà» e «I love». Non ci sono sbarre alle finestre. «È una caratteristica fondamentale», spiega Giulia Amodio, «perché le sbarre e le porte blindate hanno un effetto devastante sui bambini. Prima per poter andare ai colloqui con il proprio genitore i minori dovevano per forza entrare in carcere, subire e vedere la classica perquisizione. Tutto avveniva sotto gli occhi vigili del personale penitenziario. Ora, invece, in questa casetta gli incontri avvengono solo in mia presenza o con volontari e psicologi del Telefono azzurro. Noi facciamo in modo che l'atmosfera sia calda e familiare, e spesso il nucleo in questo modo riesce a ricostituirsi. Si gettano i semi della speranza».

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