IL MITO DEL BASKET

Jabbar a Pescara: ve la do io l'America

L’ex Nba incanta i mille accorsi all’Aurum: «Trump ? Ha diffuso paura, servono pari opportunità. Obama grande leader»

PESCARA. «Il dettaglio ti fa arrivare al vertice, le piccole cose fanno la differenza». Ha passato tanto tempo, giorni, settimane, anni ad allenarsi per diventare il mito del basket, il primo realizzatore nella storia della Nba con 38.387 punti. Kareem Abdul-Jabbar, la stella dei Lakers degli anni ’80, ieri ha incantato le oltre mille persone che hanno affollato l’Aurum di Pescara per il forum organizzato dalla Pomilio Blumm. Giacca di pelle, polo grigia e pantalone scuro. Stile trasandato, passo ciondolante e quelle mani giganti che sfiorano il cielo quando le alza per salutare il fiume di gente che lo ha accolto a Pescara.

[[(Video) Pescara, in mille applaudono la stella Jabbar]]

I suo 218 centimetri non sono passati inosservati.Ha speso tanto tempo sui campi di basket, ma anche sui libri e nelle biblioteche. La conoscenza rende le persone umili. L’ignoranza rende le persone arroganti. Il gigante buono si racconta con un’umiltà disarmante. Il suo timbro di voce zittisce il brusìo in sala. La stella è a Pescara e tanti suoi fans sono arrivati da mezza Italia. Il basket, l’Islam, Obama, la storia, i Lakers e Donald Trump. Con una sottile ironia Jabbar è stato pungente sul presidente degli Stati Uniti d’America, che ha minato la serenità del popolo a stelle strisce con alcune sue esternazioni.

Trump e il razzismo. «Credo che bianchi e neri debbano unirsi per fortificare il nostro paese», ha rimarcato l’ex centro dei Lakers, padre del leggendario “gancio cielo”, «negli Usa dove ci sono cose che si sono rotte e tanti americani sono preoccupati». E poi le frecciate a Donald Trump. «È stato distillato terrore nella campagna elettorale. La paura non cura nulla. In America ci vorrebbero pari opportunità nei diritti. Se accadrà questo bene, altrimenti sarà una tragedia».

Hillary e Barack. Molto vicino ad Hillary Clinton, premiato da Barack Obama lo scorso novembre a Washington, con le ultime “medaglie della libertà” consegnate dall’ex inquilino afroamericano della Casa Bianca. «Sono stato onorato del suo riconoscimento. Con lui c’è stato un netto miglioramento, sono stati compiuti tanti passi avanti. Poi, si sa, gli americani sono come tutti gli altri: alcuni sono buoni, altri meno buoni e altri indifferenti. Obama, comunque, è stato un grande leader», ha sottolineato con un leggero sorriso.

L’Islam e il terrore. Jabbar, mai scontato, è stato anche uno dei primi a convertirsi all’Islam lasciando il suo nome di battesimo, Ferdinand Lewis Alcindor jr. «La gente sa cos'è l'islam e cosa non è l'Islam», riferendosi anche all’odio che si è sprigionato negli ultimi tempi. Immancabilmente il discorso scivola sull’Isis e sulla potenza di Daesh.

«Capita a tanti musulmani nel mondo, che, ogni volta che “l'incidente”, ci chiedono perché non la smettete? Perché non rispettate la legge? Dovete capire che queste persone che manovrano il tutto, utilizzano la religione come scappatoia per essere assassini». Con tono deciso che innesca l’esplosione d’applausi del pubblico accorso all’Aurum. «Tutte le religioni vogliono che si viva nel rispetto e in armonia. Bisogna capire cos'è il bene e cos'è il male. Senza comunicazione non c'è pace». Temi importanti, forti, scanditi anche dalle domande del pubblico. Uomini, bambini e anche giocatori di basket, hanno interagito con il gigante di New York.

Il ritiro e il talento. «Un mio allenatore diceva sempre: “Attenzione al futuro, non potrai giocare a basket per sempre”. Ho fatto tesoro di quelle parole e ho deciso di fare lo scrittore. A New York, da ragazzo, mi sono avvicinato al giornalismo e poi ho fatto dei corsi di scrittura appena conclusa la carriera da cestista. Amavo la musica e scrivevo racconti sul jazz. Nei corsi che ho sostenuto, sono sempre stato il più bravo e mi sono convinto a fare lo scrittore. Avevo talento e sono qui anche per dirvi: abbiate coraggio e fiducia di mettere in risalto e condividere il vostro talento». Talento che ha avuto con la palla a spicchi tra le mani. Negli anni '80, i Los Angeles Lakers crearono un gioco di squadra inedito, dall'altissima spettacolarità e concretezza. Un quintetto dei sogni, che diede vita allo showtime con Earvin “Magic” Johnson, Byron Scott, James Worthy, A.C. Green e, appunto Kareem Abdul-Jabbar, adesso alla soglia dei 70 anni. «Dopo il Dream Team alle Olimpiadi del 1992 a Barcellona il basket si è diffuso in tutto il mondo. Sono rimasto sbalordito da questa cosa. Ora arrivano nella Nba giocatori da ogni parte del pianeta».

Il gancio cielo, suo marchio di fabbrica, ha fatto la storia del basket. «Ha rappresentato per me la soluzione a un problema», ha svelato all'Oscar Pomilio Blumm Forum, «mi resi conto che serviva un tiro potente e difficile da difendere, così l'ho usato per tutta la mia carriera stabilendo un record nei tiri realizzati». Infine: «Io in politica? No, è un compito troppo gravoso» E sul nostro paese non si sbilancia: «Non ci vengo spesso, perciò non mi permetto di commentare una situazione che non conosco». Applausi, giù il sipario e le sue manone al cielo.

@luigidimarzio

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