Riaperta l'inchiesta sul Canadair caduto

La famiglia di Stefano Bandini convince i magistrati toscani a indagare ancora

TERAMO. Stefano Bandini ha dato la vita per aiutare gli altri, è morto facendo il proprio dovere. Ma, per la magistratura di Lucca, il pilota di Canadair teramano e il suo collega senese Claudio Rosseti sono gli unici responsabili del tragico incidente del 18 marzo 2005.

Una conclusione, quella della Procura e del gip lucchesi, mai accettata dalla famiglia di Stefano. Anche perché basata su una perizia che aveva giudicato i due piloti in stato di alterazione psicofisica. Ebbene: la volontà dei Bandini di non arrendersi è stata premiata. La procura di Firenze ha avocato a sé il fascicolo d'inchiesta ed ha riaperto il caso. Sta già procedendo a nuove indagini. Lo rende noto l'avvocato Gianluca Pomante, autore della richiesta di avocazione del fascicolo indirizzata con successo alla Procura generale presso la Corte d'appello di Firenze. 

LA PERIZIA.
È l'agosto 2006 quando il giudice per le indagini Preliminari di Lucca procede all'archiviazione del procedimento aperto nei confronti di ignoti per il disastro aereo dell'anno prima in cui a Vittoria Apuana, vicino a Forte dei Marmi, durante una missione antincendio, avevano perso la vita Stefano e il suo compagno di volo. Il Gip ritiene ininfluenti eventuali responsabilità di terzi rispetto a quella dei piloti. Tale supposizione si basa sulle risultanze di una perizia che attribuisce la responsabilità dell'incidente alla scarsa capacità di determinazione dei piloti, a causa dell'alterazione di alcuni valori biologici.

Secondo la difesa, però, il consulente tecnico della Procura ha commesso degli errori metodologici che gli hanno impedito di accertare il reale stato psicofisico delle vittime. Per questo la famiglia di Stefano, nel 2008, deposita una dettagliata richiesta di riapertura delle indagini, allegando la relazione di due docenti universitari. La Procura, con una laconica nota del gennaio 2009, rigetta l'istanza. 

LE OMISSIONI.
La sorte del procedimento sembra ormai segnata, nonostante le numerose omissioni rilevate consiglierebbero un approfondimento. La famiglia, infatti, fa notare che:

1) il Canadair aveva raggiunto Forte dei Marmi al tramonto, situazione di scarsa visibilità che impedisce la corretta valutazione dei rischi. Secondo il regolamento della Protezione civile non sarebbe dovuto intervenire o, quantomeno, avrebbe dovuto sospendere le operazioni di spegnimento.

2) Il Canadair non poteva comunicare con gli operatori di terra, a causa di un guasto alle radio. Anche in questo caso, il regolamento della Protezione civile impedisce il ricorso a ponti radio alternativi. Il direttore delle operazioni avrebbe dovuto interrompere l'attività del Canadair.

3) Nonostante la presenza di due linee elettriche sul luogo dell intervento, nessuno chiese alla società proprietaria delle stesse di togliere la tensione, né comunicò la circostanza al prefetto di Lucca, che sarebbe potuto intervenire per i provvedimenti di sua competenza.

4) Nessuno informò i piloti della presenza della seconda linea elettrica e, soprattutto, del traliccio nascosto dal fumo proprio nella zona in cui l'aereo stava intervenendo. Insomma, la tesi è: quella missione doveva essere sospesa per garantire la sicurezza dei piloti. 

IL DUBBIO.
Sorge spontaneo il dubbio che per la Procura di Lucca si trattasse di un fascicolo scomodo, visti gli interessi e i soggetti messi in discussione. Sta di fatto che la famiglia Bandini, con la richiesta di avocazione del fascicolo, ha censurato pesantemente l'operato del pubblico ministero e, soprattutto, ha convinto altri magistrati a riaprire il caso.

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