Tre macchie incastrano Bisceglia

13 Luglio 2011

Spiegate in aula le tracce di sangue trovate dai Ris: sono le prove regine

TERAMO. Pur senza la chiarezza espositiva e l'incisività che sarebbero state auspicabili, nel dibattimento sul crudele delitto di Adele Mazza la pubblica accusa fa piombare, con tutto il loro peso, le tre prove considerate "regine": quelle che, secondo il pm Roberta D'Avolio, non potranno che portare alla condanna dell'imputato Romano Bisceglia.

Si tratta di tre macchie di sangue. Trovate dagli specialisti del Ris, il raggruppamento investigazioni scientifiche dei carabinieri, in casa di Bisceglia (cioé in quello che per l'accusa è il luogo del delitto) e sulla scarpata di via Franchi lungo la quale i pezzi del cadavere di Adele Mazza, orrendamente mutilato, vennero ritrovati la sera del 5 aprile 2010.

Una macchia venne trovata sul nastro adesivo in cui era avvolto il manico di un secchio che conteneva un braccio di Adele. Ebbene, secondo il maresciallo del Ris che ha effettuato l'analisi di laboratorio, e che ieri (con molte, incomprensibili lacune espositive) ha testimoniato in aula, quel sangue era «con sostanziale certezza» di Romano Bisceglia. Il quale, evidentemente, si era ferito con una lama mentre tagliava a pezzi il cadavere della sua ex convivente dopo averla strangolata in casa propria. La comparazione con il Dna di Bisceglia, prelevato dalla cicca di una sigaretta fumata in caserma, secondo il maresciallo del Ris non darebbe adito a dubbi. Si tratterebbe di una «compatibilità totale», anche perché «quel profilo genetico si riscontra con una frequenza molto rara in Italia».

Quanto alle macchie trovate in casa dell'imputato, sarebbero invece di Adele Mazza. Una venne trovata su uno scarpone di Bisceglia, altre due nel bagno dell'imputato. Qui, secondo l'accusa, Bisceglia avrebbe fatto a pezzi il cadavere di Adele per potersene disfare senza dare nell'occhio, pulendo poi la vasca. Così bene da non permettere al Ris di trovare tracce di sangue con il luminol, ma «dimenticando» un paio di punti esterni alla vasca stessa in cui invece i carabinieri identificarono delle minuscole tracce ematiche, raccogliendole con un tampone.

Imperturbabile il difensore di Bisceglia, l'avvocato Barbara Castiglione, secondo cui quelle esposte ieri in aula «non sono prove scientifiche. Io ho sentito solo chiacchiere».

L'udienza è proseguita con l'ascolto dei carabinieri in servizio a Teramo che parteciparono alle indagini dopo la scoperta del cadavere. È stato poi sentito un agente di polizia penitenziaria che, mesi dopo il delitto, trasportò la compagna di Bisceglia, Sofia Marini, dal carcere di Teramo a quello di Lanciano. Durante il trasferimento la Marini confidò all'agente di sapere dov'era stata uccisa Adele Mazza e che Bisceglia non avrebbe agito da solo; ma a precisa richiesta di collaborare con la giustizia si rifiutò, dicendo che aveva paura. Sofia Marini verrà ascoltata in una delle prossime udienze.

Il processo è stato aggiornato al 18 luglio. (d.v.)

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