Addio al papà di Carosello

E’ morto il regista Luciano Emmer, inventò gli spot in tv.

«Neorealista rosa, io? Queste sono definizioni che si divertono a dare i giornali. Io non amo le etichette. Preferisco il vino sfuso». Luciano Emmer aveva il dono della leggerezza e praticava la sprezzatura come forma di igiene mentale. Il regista milanese che inventò Carosello è morto ieri, all’età di 91 anni, nell’ospedale Gemelli di Roma. Ne aveva 83 di anni, nel 2001, quando rilasciò quella dichiarazione al Centro in una lunga intervista firmata da Anna Fusaro, in occasione della grande retrospettiva a lui dedicata dal Maggio festeggiante di Teramo. Due anni dopo anche il festival teatino di Scrittura e Immagine, dell’Associazione Flaiano, gli tributò un omaggio alla carriera. Emmer è stato un grande autore cinematografico che ebbe il merito di iniettare una discreta dose di romanticismo e ironia nell’organismo esausto del neorealismo italiano, diventato - a metà degli anni ’50 - pura esercitazione retorica. Il regista milanese firmò film come «La ragazza in vetrina» e «Domenica d’agosto» che i critici italiani di quegli anni - succubi della férula zdanovista di Guido Aristarco - bollarono con l’epiteto di «neorealismo rosa».

Piccoli classici, adorati soprattutto in Francia dai «giovani turchi», critici dei Cahiers du cinema di André Bazin, poi diventati registi della Nouvelle Vague, come François Truffaut e Claude Chabrol. Ma il suo nome resterà legato, probabilmente, soprattutto alla grande rivoluzione del costume rappresentata da Carosello, il programma televisivo fatto solo di filmati pubblicitari che, negli anni ’50 e ’60, segnò uno spartiacque nelle giornate degli italiani: ai bambini era consentito guardare la tv solo fino al termine di Carosello. Poi a nanna. Quegli spot - che all’epoca si chiamavano ancora réclame, alla francese - erano interpretati da grandi attori e cantanti dell’Italia del Boom. Per Carosello, Emmer diresse, fra gli altri, Walter Chiari (spot dello Yoga), Carlo Dapporto (il dentifricio Durban’s), Dario Fo (la benzina Supercortemaggiore), Totò (il brodo Star) e Mina (Industria italiana della birra).

Del primo Carosello, Emmer, creò anche la sigla, quella con i siparietti che si aprivano uno dopo l’altro. Nato a Milano il 19 gennaio del 1918, Emmer, da studente, fondò, con l’amico Enrico Gras, una casa di produzione che realizzava principalmente documentari d’arte. Si occupò di Bosch, Giotto, Leonardo, Goya e Picasso. Nel cinema, invece, Emmer esordì nel 1950 con «Domenica d’agosto», un film umoristico e sentimentale tra neorealismo e commedia di costume, che resterà sempre la sua cifra stilistica. Poi girò «Parigi è sempre Parigi» e «Le ragazze di Piazza di Spagna» con Lucia Bosè, «Terza liceo» e «La ragazza in vetrina» con Marina Valdy. Dopo questo film, Emmer lasciò il grande schermo per trent’anni, prima di tornarci nel 1990 con «Basta! Ci faccio un film», seguito da «Una lunga lunga lunga notte d’amore» (2001) e «L’acqua... il fuoco» (2003) con protagonista Sabrina Ferilli presentato alla Mostra di Venezia. L’ultimo suo lavoro, «Masolino» è del 2008: un cortometraggio d’arte.

Girato nel Borgo di Castiglione Olona, il documentario racconta i luoghi che Masolino visitò suo soggiorno a Castiglione: dalle rive del fiume ai Mulini, fino al ponte in pietra che attraversa l’Olona. Emmer collaborò anche con un grande abruzzese, lo scrittore pescarese Ennio Flaiano, che fu per lui firmò le sceneggiature di due film: «Parigi è sempre Parigi» (1951) e «Camilla» (1954). Nell’intervista al Centro del maggio del 2001, Emmer raccontò di un progetto cinematografico comune mai realizzato: «Flaiano era sempre di un sarcasmo addirittura feroce con tutto e con tutti. Era estremamente caustico, spiritoso, pieno di humour e al tempo stesso di amarezza. Scontroso, ma di grande spessore artistico. Basta leggere i suoi libri. Odiava e amava il cinema. Voleva fare il regista. Dovevamo addirittura fare un film insieme, “Il bambino”, sulla sua infanzia a Brescia in collegio.

Lui fece anche i sopralluoghi, ma alla fine non si concluse nulla». E, a proposito del suo esilio trentenale dal cinema, aggiunse: «Con “La ragazza in vetrina” nel 1960 ebbi grandi difficoltà. Enormi problemi con la censura. La produzione non mi pagò. Tornai dall’Olanda con il foglio di via. A quel punto preferii i Caroselli, fare il cinema di due minuti anziché quell’altro che mi procurava tanta amarezza. Altrimenti avrei dovuto percorrere la strada della commedia all’italiana, che non era nelle mie corde». Sulle donne, al centro di tanti suoi film, Emmer concluse dicendo: «Preferisco osservare il mondo delle donne. E’ più affascinante di quello maschile. Le donne hanno più personalità degli uomini».