Buste paghe leggere per gli impiegati
I sindacalisti della Uil: ecco il confronto tra l’Abruzzo e la Lombardia.
PESCARA. Un impiegato pubblico di prima nomina in Abruzzo guadagna 1.200 euro al mese, in Lombardia 1.350-1.400. Differenza che esiste anche ai livelli più alti: un funzionario della pubblica amministrazione percepisce 1.300-1.400 euro, che diventano 1.500 a Milano. E’ quanto emerge da un raffronto tra le buste paga dei dipendenti pubblici nelle due regioni. Una realtà confermata anche da due sindacalisti della Uil che spiegano cosa succede. «Nel pubblico impiego la retribuzione dei dipendenti si compone di una retribuzione nazionale», racconta il segretario della funzione pubblica della Uil Abruzzo, Fabio Frullo, «basata sul contratto collettivo nazionale del settore, e la retribuzione accessoria». Quest’ultima «viene decisa attraverso una contrattazione che avviene a livello di amministrazioni locali».
La differenza fra la busta paga di un funzionario di un Comune abruzzese e quella di un suo collega a Brescia, secondo l’analisi di Frullo, sta nel fatto che «le amministrazioni più virtuose stanziano più fondi rispetto a quelle più povere o che hanno un bilancio che non permette spese aggiuntive». La stessa analisi viene fatta dal segretario provinciale della Fp-Uil di Milano, Ciro Capuano che raggiunto a telefono spiega: «Un piccolo comune in provincia di Pescara, ad esempio, «paga i suoi impiegati di meno rispetto a un comune di Milano, che forse ha più soldi provenienti da qualche fonte di risparmio». Un ritorno alle gabbie salariali è per i due sindacalisti della Uil fuori discussione: «Ingiusto» per Frullo, secondo il quale «penalizzerebbe le amministrazioni più deboli. Sono una bufala e la Uil promette battaglia anche in Abruzzo» se non ci sarà un dietro front da parte del governo».
Dello stesso avviso anche Capuano, che definisce «anacronistico» il dibattito sulle gabbie salariali: «Sono state abolite alla fine degli anni Sessanta, ora il paese deve fare un passo avanti: facilitare il ricorso alla contrattazione aziendale, che deve essere resa più forte e flessibile attraverso un salario territoriale o aziendale». Ma prima, aggiunge, «bisogna stabilire un paniere territoriale dei prezzi sui quali la contrattazione dovrebbe basarsi». E’ un dato di fatto, sostiene infatti Capuano, «che il costo della vita al nord è più alto rispetto alle regioni del centro-sud: dal costo degli immobili e delle locazioni a quello dei generi di prima necessità». «Inoltre», continua il sindacalista di Milano, «anche se un comune ricco come Milano ha dei fondi a disposizione, nell’assegnarli non può comunque andare al di là del patto di stabilità stabilito dall’Unione europea: una contrattazione vera, quindi, non c’è mai».
Un «no» netto a un ritorno alle gabbie salariali stabilito per legge viene anche da Confindustria. «La contrattazione deve essere rimessa nelle mani della volontà delle parti sociali», sostiene il direttore dell’Unione degli industriali d’Abruzzo, Giuseppe D’Amico. «Dobbiamo passare alla contrattazione aziendale», esorta D’Amico. «Un’azienda produttiva, può esserlo al nord come al sud, quindi non c’è spazio per una discriminazione territoriale». Ma non si può dimenticare che una differenza del costo della vita esiste eccome. «La contrattazione aziendale o territoriale», dice D’Amico, «può essere il luogo in cui concordare il legame tra la produttività e i salari, ma anche ad altri fattori esterni come, appunto, il costo della vita del territorio di riferimento».
La differenza fra la busta paga di un funzionario di un Comune abruzzese e quella di un suo collega a Brescia, secondo l’analisi di Frullo, sta nel fatto che «le amministrazioni più virtuose stanziano più fondi rispetto a quelle più povere o che hanno un bilancio che non permette spese aggiuntive». La stessa analisi viene fatta dal segretario provinciale della Fp-Uil di Milano, Ciro Capuano che raggiunto a telefono spiega: «Un piccolo comune in provincia di Pescara, ad esempio, «paga i suoi impiegati di meno rispetto a un comune di Milano, che forse ha più soldi provenienti da qualche fonte di risparmio». Un ritorno alle gabbie salariali è per i due sindacalisti della Uil fuori discussione: «Ingiusto» per Frullo, secondo il quale «penalizzerebbe le amministrazioni più deboli. Sono una bufala e la Uil promette battaglia anche in Abruzzo» se non ci sarà un dietro front da parte del governo».
Dello stesso avviso anche Capuano, che definisce «anacronistico» il dibattito sulle gabbie salariali: «Sono state abolite alla fine degli anni Sessanta, ora il paese deve fare un passo avanti: facilitare il ricorso alla contrattazione aziendale, che deve essere resa più forte e flessibile attraverso un salario territoriale o aziendale». Ma prima, aggiunge, «bisogna stabilire un paniere territoriale dei prezzi sui quali la contrattazione dovrebbe basarsi». E’ un dato di fatto, sostiene infatti Capuano, «che il costo della vita al nord è più alto rispetto alle regioni del centro-sud: dal costo degli immobili e delle locazioni a quello dei generi di prima necessità». «Inoltre», continua il sindacalista di Milano, «anche se un comune ricco come Milano ha dei fondi a disposizione, nell’assegnarli non può comunque andare al di là del patto di stabilità stabilito dall’Unione europea: una contrattazione vera, quindi, non c’è mai».
Un «no» netto a un ritorno alle gabbie salariali stabilito per legge viene anche da Confindustria. «La contrattazione deve essere rimessa nelle mani della volontà delle parti sociali», sostiene il direttore dell’Unione degli industriali d’Abruzzo, Giuseppe D’Amico. «Dobbiamo passare alla contrattazione aziendale», esorta D’Amico. «Un’azienda produttiva, può esserlo al nord come al sud, quindi non c’è spazio per una discriminazione territoriale». Ma non si può dimenticare che una differenza del costo della vita esiste eccome. «La contrattazione aziendale o territoriale», dice D’Amico, «può essere il luogo in cui concordare il legame tra la produttività e i salari, ma anche ad altri fattori esterni come, appunto, il costo della vita del territorio di riferimento».