«Chiodi? Diamogli un bel 6+»

Il governatore sconta il ritardo sulle riforme promesse.

PESCARA. Il voto più basso è un 5=, il più alto un 10 tondo tondo, c’è anche un 8, alcuni 6, altri 5. Facendo la media dei voti e dei giudizi dei personaggi della politica, del sindacato, della cultura, interpellati dal Centro, il primo anno di Gianni Chiodi guadagna un 6+. Una sufficienza stiracchiata ma non scontata in un anno difficilissimo per l’Abruzzo. Chiodi guadagna soprattutto quando il discorso si concentra sul terremoto e sull’intervento post-terremoto, mentre perde consenso quando gli intervistati affrontano i deficit strutturali della regione: il debito della sanità, la mancanza di lavoro, la sofferenza di settori come l’agricoltura o l’artigianato, i costi della politica.

A distanza di un anno Chiodi appare sufficientemente forte sul piano personale e abbastanza forte su quello istituzionale: la Sanitopoli abruzzese (alla quale si deve la sua elezione) e il terremoto del 6 aprile lo hanno proiettato sulle cronache nazionali dandogli un’alta visibilità, mentre istituzionalmente ha sommato in 12 mesi la sua carica di governatore a quella di commissario alla ricostruzione e di commissario alla Sanità. Chiodi si è rafforzato anche politicamente, ma nella misura in cui resta forte Berlusconi, perché nel Pdl abruzzese il governatore è un capo senza esercito, a parte la ridotta teramana.

Da questo concentrato di potere e di immagine la sua squadra, in larga parte giovane e inesperta, resta schiacciata. Si mettono in evidenza soprattutto i politici più navigati come il vicepresidente e assessore alle Attività produttive Alfredo Castiglione e l’assessore all’Agricoltura Mauro Febbo.

A Castiglione si deve il varo della riforma dell’artigianato e la riforma della Fira, la finanziaria regionale, due dei pochi provvedimenti che hanno visto la luce nel 2009. Febbo ha la fortuna di poter lavorare con i fondi europei del Piano di sviluppo rurale.
Discorso a parte merita l’assessore alla Sanità Lanfranco Venturoni azzoppato dal commissariamento del settore. Porta però la sua firma il superamento del commissariamento delle Asl e la loro riduzione da sei a quattro. Così come la legge che toglie l’accreditamento ai privati che non pagano gli stipendi ai dipendenti (vedi vicenda Villa Pini).

Ma non è ancora arrivato sul suo tavolo il promesso Piano sanitario. Gli altri assessori si muovono nel deserto delle risorse (la Regione è in rosso per 3 miliardi e mezzo) e si vedono abbastanza poco. Così siamo ancora in attesa della riforma su acqua e urbanistica, della fusione delle aziende di trasporto, di una razionalizzazione degli enti regionali, di un piano rifiuti che risolva la fame di discariche.