Discarica di Bussi, lo Stato chiede 630 milioni

Iniziato il processo per l’avvelenamento dei suoli: 27 imputati. La stima del ministero dell’Ambiente per i danni, in aula battaglia sulle parti civili. Le difese chiedono al giudice di escludere Regione, enti e associazioni, tranne il Wwf

BUSSI SUL TIRINO. È un risarcimento gigantesco quello che il ministero per l’Ambiente si prepara a chiedere per la maxi-discarica di Bussi: 630 milioni di euro, il prezzo di decenni di veleni.

La prima stima dei danni per il disastro ambientale di Bussi - una discarica di 500 mila tonnellate di rifiuti tossici che avrebbe provocato la contaminazione dei terreni e delle acque - è contenuta nella costituzione di parte civile depositata il 28 gennaio scorso dall’avvocato dello Stato Carla Maria Pisana: 596 milioni di euro per la rimozione, il trasporto e lo smaltimento dei terreni inquinati: 1.863.000 tonnellate con un costo di 320 euro a tonnellata. A questo dovranno essere aggiunti altri 28 milioni di euro, necessari per il ripristino delle aree inquinate con terreno vergine, una operazione che avrà un costo di 15 euro a tonnellata. A risarcire il ministero dovrebbero essere i 27 indagati, ex dirigenti di Montedison e Ausimont ed ex amministratori di Aca e Ato, che il pm Anna Rita Mantini chiama a rispondere di reati che vanno dall’avvelenamento delle acque al disastro colposo.

Ma si tratta solo di una prima stima: «È una quantificazione parziale, la somma reale potrebbe arrivare ad almeno il doppio, se non di più, perché vanno considerati - oltre ai danni ambientali - anche quelli all’immagine e i danni morali» ha spiegato l’avvocato dello Stato Giovanni Palatiello, dell’avvocatura generale dello Stato di Roma (presente al posto del collega Pisana), che ieri - durante la quarta udienza preliminare - ha depositato l’autorizzazione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri a costituirsi parte civile.

Chi resterà nel processo assieme ai rappresentanti del ministero per l’Ambiente sarà chiaro solo il prossimo 11 marzo, quando De Ninis deciderà quali tra enti e associazioni sono legittimati a chiedere i danni. È stata battaglia infatti, ieri, nell’aula 6 del tribunale sulle costituzioni di parti civili, dopo che, all’inizio dell’udienza, avevano depositato le loro istanze anche i comuni di Chieti e di Tocco a Casauria, Wwf, Legambiente, l’associazione Sos Utenti, un gruppo di cinque ex lavoratori della Solvay e alcuni residenti nel territorio di Bussi sul Tirino.

Per gli avvocati dei 27 imputati (con qualche raro distinguo) solo il ministero per l’Ambiente è legittimato a costituirsi parte civile perché il Testo unico sull’ambiente del 2006 stabilisce che è il ministero il titolare dell’azione risarcitoria per il danno ambientale. Tra le associazioni, unico a non essere stata bocciata dai difensori è il Wwf - rappresentato dagli avvocati Tommaso Navarra e Fabio De Massis - che per statuto ha il compito di tutelare l’ambiente e quindi legittimato a chiedere il danno patrimoniale, che l’associazione ha fissato in 100 mila euro. Dunque, secondo i difensori, non avrebbero titolo a partecipare al processo neppure la Regione Abruzzo, la Provincia di Pescara e i Comuni perché in sostanza, non potrebbero dimostrare il rapporto di causa-effetto tra il fatto e il danno. Compreso il danno all’immagine: in astratto risarcibile, in concreto difficile da dimostrare. Chiesta anche l’esclusione della Solvay.

Tutto, dunque, è ora nelle mani del gup De Ninis che ieri ha rinviato le repliche delle parti civili e le sue decisioni sull’ammissibilità delle istanze all’11 marzo. L’udienza successiva, il 15 aprile, si aprirà quindi la discussione, al termine della quale il giudice deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio.

Due questioni, ieri, sono rimaste aperte. La prima riguarda la richiesta di accesso ai siti sotto sequestro da parte del commissario Adriano Goio, presentata il 27 novembre: l’autorizzazione, infatti, è necessaria per procedere alla riqualificazione dell’area. I difensori si sono opposti, ricordando che un intervento di bonifica modificherebbe in modo irreversibile lo stato dei luoghi: dunque, con ogni probabilità, si dovrà aspettare l’incidente probatorio. Con i tempi del processo, l’avvio della bonifica del sito rischia di essere ulteriormente rallentato.

Resta, infine, incerta la posizione di Roberto Angelucci (indagato come ex vice presidente del cda dell’Ato 4): secondo la difesa, la sua richiesta di essere interrogato dopo l’avviso di conclusione delle indagini è caduta nel nulla. Un fatto che potrebbe determinare la nullità della richiesta di rinvio a giudizio.