Geniale e ottimista: Flaiano

Un volume raccoglie le testimonianze di chi lo ha conosciuto bene

L’anniversario flaianeo (i cento anni dalla nascita) sarà fitto di iniziative. L’autore, scrittore, giornalista, commediografo, abruzzese (Pescara 5 marzo 1910 - Roma 20 novembre 1972), sarà ricordato dalla sua città con una serie di manifestazioni che probabilmente lo sorprenderebbero per varietà e intensità. Augusto Ferrara, editore e giornalista, ha realizzato un volume ricco di chicche dal titolo «Ennio Flaiano, hanno detto di lui» (192 pagine, 26 euro). Il libro sarà presentato venerdì, alle 16, in consiglio comunale alla presenza di Giovanni Russo, amico dell’intellettuale scomparso. Tra le numerose iniziative, inoltre, si segnala l’annullo speciale delle Poste e un francobollo.

Il libro edito da Ferrara contiene gli interventi di Russo e di Diana Rüesch, curatrice del fondo Flaiano nella biblioteca cantonale di Lugano, oltre a una serie di interviste di personaggi che parlano di Flaiano. Da Albertazzi a Del Buono, da Guerra a Bolognini, da Zeffirelli a Monicelli. Per concessione dell’editore pubblichiamo alcuni stralci delle testimonianze di due grandi personaggi italiani come Alberto Sordi e Vittorio Gassman, amici fraterni dell’autore di «Tempo di uccidere».

Vittorio Gassman
(Genova, 1922 - Roma, 2000) fu il protagonista del grande insuccesso teatrale di Ennio Flaiano, «Un marziano a Roma», il 23 novembre 1960. «Conoscevo Ennio già da parecchio tempo», raccontò Gassman, «L’ho sempre considerato un amico, ma soprattutto un maestro, sia pure indiretto. La sua figura è stata molto importante nella mia formazione.

Mi venne allora in mente di farmi scrivere da lui un testo teatrale su misura. Lui era un uomo deliziosamente pieno di dubbi. Tentennò per un bel pezzo, poi scanzonatamente si lasciò convincere. Scrisse “Un marziano a Roma” di getto. La commedia mi piacque molto, ma mi resi subito conto che la struttura drammaturgica aveva dei punti di fragilità. Gli espressi le mie riserve e gli chiesi di fare gli aggiustamenti necessari. Ma lui mi rispose: “Senti, Vittorio, mi devo ancora riavere dallo stupore di averla scritta. Se mi chiedi di riscriverla, me ne vado in Cina”.

Così decisi di rischiare e di andare in scena lo stesso. (...) Fu un fiasco colossale, uno dei più bei ricordi della mia carriera. A quell’episodio si riferisce la battuta di Flaiano: l’insuccesso mi ha dato alla testa (...) Il suo genio è italianissimo, ma anche del tutto internazionale», continua Gassman, «Non dimentichiamo che il romanzo “ Tempo d’uccidere” è uno dei pochi che abbiano avuto peso anche in America. Il suo humor in pillole è molto anglossassone. Nella tendenza professorale, rompicoglioni, forforale dei pensatori italiani, lui era un’eccezione. Aveva il grande dono di presentire i tempi futuri: già da allora aveva intuito il degrado umanistico in cui ci troviamo oggi».

«Con Flaiano», spiega Alberto Sordi (Roma 1920 - 2003), «Diventammo amici al tempo del film “Il segno di Venere”. Poi venne la collaborazione con Fellini. Anche se non era sempre impegnato nella sceneggiatura, Ennio veniva comunque sul set dei film che stava girando Federico. Aveva un’intelligenza lucida, sempre attenta e pronta a qualunque evenienza. Gli piaceva curiosare, vedere come lavoravano gli altri e soprattutto non dava mai consigli non richiesti». I rapporti con Fellini erano turbolenti? «Molto turbolenti, soprattutto perché erano due autori, con due caratteri da provinciali di successo. Era difficile stabilire, tra i due, chi determinava veramente la buona riuscita di un’opera. Flaiano aveva delle idee geniali, che però poi venivano elaborate da un altro genio come Fellini. Il rapporto era quasi simbiotico, si completavano a vicenda, ma proprio per questo litigavano. Ricordo che Ennio diceva spesso, scherzando, a Federico: “Se perdi me, perdi tutto”.

Quando Flaiano è morto, il regista della “Dolce vita” ne ha sentito molto la mancanza». Qualcuno ricorda lo scrittore abruzzese con un carattere malinconico. Qualcun altro lo ricorda ottimista e sempre in vena di scherzare. Lei che ricordo ha? «Era un ottimista, sempre caricato in positivo, non si lasciava mai prendere dallo sconforto. E soprattutto non era permaloso. Una volta espressi delle perplessità sulla sceneggiatura di un film che aveva scritto per me. Ne discutemmo insieme, lui accettò le critiche senza minimamente offendersi. Non era presuntuoso, anzi, era sempre pronto a correggere il tiro, se lo riteneva giusto».