La primavera della città feritaL'Aquila dall'elicottero un anno dopo

Macerie e piano Case: L’Aquila dall’alto. Santa Maria Paganica aperta come l’uovo di Pasqua Al campo federale i bimbi giocano a calcio

L’AQUILA. Come sei grande da quassù, città ferita. Il portellone dell’AB 412 della Finanza si spalanca. Ed ecco che davanti agli occhi ti appare la certezza che la zona rossa è davvero una città nella città. Entriamo da Ovest sull’Aquila devastata dal terremoto. Lo sguardo va subito a piazza Duomo, dove il «cappello» bianco delle Anime Sante sembra il turbante di un imam. La piazza è vuota. Senza terremoto, a quest’ora del mattino, avresti visto i mille colori del mercato. Oggi invece vedi solo le gru innalzate al cielo, e ancora tante macerie. Più in là, le nuove Case.

PRIMAVERA ALL’AQUILA. L’elicottero partito da Pratica di Mare fa tappa a Preturo, nell’aeroporto dei Parchi che accolse Obama e che vuole diventare grande. Domani. Perché oggi è ancora semideserto. A bordo, al comando del colonnello Maurizio Muscarà, il luogotenente Vincenzo Di Fiore, il maresciallo Stefano De Marchi e il brigadiere Massimiliano Desiato. Hanno operato qui dal 6 aprile. Ricordano bene la notte dello sgombero dell’ospedale e di questo piccolo scalo che si trasformò in una grande centrale dell’emergenza. La troupe dell’«Italia sul Due», guidata dall’inviato Vittorio Introcaso, è a caccia di immagini, un anno dopo, da mandare il 6 aprile alle 14,40 su Rai2. Cos’è cambiato, da allora? Lo scenario è simile a un anno fa. Sulle montagne resiste ancora l’ultima neve. I mandorli in fiore spuntano qua e là. A confermare che la primavera è arrivata. Non ci sono più le tendopoli. E ci mancherebbe altro. Ci sono, in più, le nuove Case. Le prime che si avvistano, decollando da Coppito, sono quelle di Sassa Nsi. Più in là, all’orizzonte, Cese di Preturo e Pagliare. Una corona che pare ordinata, almeno da quassù. Sono i nuovi rifugi per chi una casa non ce l’ha più. Anche la collina di Monteluco porta una ferita al fianco sinistro: altre Case. Chi ci abita, da lì, vede tutta L’Aquila. Attorno ai nuovi villaggi molto è ancora da fare. Strade, servizi, spazi sociali. Il tempo che ci vorrà per rimettere a posto le cose è talmente lungo che fa a pugni col minuto e mezzo che serve per stare su piazza Duomo. Il centro storico, pur squassato, non sembra mostrare i suoi 756 anni. Il Duomo è come accasciato. È un malato aperto e non richiuso. Non ci sono tutti i soldi per metterlo in sicurezza. E si vede. Per rimettere in piedi la Cattedra di San Massimo ci vorranno anni. Così come per rientrare al Comune, che almeno adesso non ha più davanti quei mucchi di macerie che stavano per superare la statua di Sallustio. Sembra di vederlo, il popolo delle carriole, all’opera nella zona proibita. Quando l’elicottero si abbassa, per costeggiare San Bernardino e quel campanile smozzicato da sembrare un ghiacciolo sciolto, ti accorgi che tante delle ferite da quest’altezza non si vedono. Ma le macerie ci sono, eccome. Sono ancora tutte lì. E vanno rimosse, sennò non parte nessuna ricostruzione.

LE GABBIE. Dall’elicottero la città si scopre tutta subito. È un album già tutto sfogliato. Non è come camminare sui sampietrini. Ecco, allora, allineate, prima San Domenico, l’ex carcere di un bianco accecante. Poi, subito dietro, San Pietro a Coppito dove la facciata è sfregiata sul lato destro. Quindi San Silvestro.

L’UOVO DI CIOCCOLATA. Santa Maria Paganica, ancora en plein air dopo un anno, sembra proprio un uovo di cioccolata rotto da un bambino in cerca della sorpresa. Ma qui non si tratta di bambini. L’Orco l’ha aperta da cima a fondo e, da allora, così è rimasta. I muri sbriciolati si colorano di verderame. La speranza è legata a quelle due grosse gru gialle che s’incrociano a mo’ di sciabole, forse cercando di ritirare su il più possibile. E anche a quelle montagnole di marmi, sassi e capitelli che sono stati separati e lasciati lì accanto. Pezzi di un mosaico tutto da ricostruire.

L’ASILO DI GIULIA. Lasciandoci alle spalle Collemaggio, col tendone da circo davanti, e dietro, nel parco, le pietre salvate affilate una a una, affinché ogni pezzo di quelli torni dov’era prima, l’elicottero in un attimo è sopra a Monticchio. Par di capire che qui non c’è niente. L’Orco, infatti, ha passato il fiume. Eccoci a Onna. I vuoti, tanti, troppi, di un paese che non c’è più fanno a pugni col villaggio tutto nuovo dove spicca il tetto dell’asilo progettato da Giulia Carnevale. Sembra un’astronave pronta a decollare. L’elicottero si abbassa e da qui scopre la finestra di casa Parisse. La telecamera indugia sulla piazza della chiesa. Anche qui tanti vuoti. Microfono aperto, allora, ma nessuna parola. Sarebbe inutile. Anche l’equipaggio rispetta il silenzio in memoria delle vittime.

ECCO I LEGO. Al di là della statale 17, lungo la quale si affannano camionisti e automobilisti, i forzati della città sparpagliata, ecco spuntare Paganica 2. Gli alloggi antisismici del progetto Case hanno colori sgargianti, dal verde al giallo. Colpiscono, da qui, quei tetti concavi: ma quando nevica che succederà? Intanto c’è il sole, e oltre la collina spunta un altro dei nuovi villaggi: Camarda. L’erba attorno alle case comincia a crescere. E questi casermoni somigliano a grossi Lego sospesi sui pilastri antisismici.

PAGANICA CASTELLO. Una macchia verde un po’ più intensa circonda la Chiesa del Castello di Paganica. Tutta la zona è fortemente disastrata. Qui, specialmente nella parte alta della frazione, le macerie sono ancora ammassate, così come si vede a Onna. I tetti sventrati sono come piatti di riso rovesciati dove le travi spezzate fanno pensare ai bastoncini dei cinesi.

DUE CALCI AL PALLONE. Tornando verso Coppito c’è un prato verde che non è quello dello stadio Fattori dove gli aquilani cercano di passare un’oretta e mezza tranquilli, la domenica. Il verde dove prima era marrone è il nuovo impianto sintetico del Federale. Il campo intitolato a Nello Mancini, che ospita una qualche decina di squadre tra giovanili e categorie minori, tra allenamenti e partite ufficiali, funziona anche 16 ore al giorno. Oggi, dei ragazzi stanno giocando a una porta. Hanno magliette rosse e blu. Anche questo è un segno di rinascita. A tre giorni da Pasqua, a un anno dalla grande catastrofe, spuntano i primi fiori.

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