10 maggio

Oggi, ma nel 1799, ad Altamura, in provincia di Bari, nel largo di San Domenico, durante i moti insurrezionali veniva colpito a morte Giovani-Firrao, di Matera, classe 1778, di idee repubblicane e per questo da giustiziare secondo i sanfedisti capeggiati dal cardinale Fabrizio Ruffo dei duchi di Baranello, vicario generale di re Ferdinando IV di Borbone. E, verosimilmente, a stroncare Firrao (nella foto, particolare, il monumento ai martiri di quei tumulti, realizzato in piombo dallo scultore fiorentino Arnaldo Zocchi, in piazza del Duomo, ed eretto in occasione delle celebrazioni del primo centenario, il 10 maggio 1899) sarebbe stato proprio Ruffo che gli avrebbe sparato.
Anche se si susseguiranno diverse ipotesi inerenti la ricostruzione dell’omicidio politico. Delitto che rimarrà avvolto nella fumosità della sua realizzazione e che comunque scatenava una notevole commozione da parte dei cittadini. La dipartita terrena di Firrao rientrava nel quadro della rivoluzione altamurese che si concludeva con la vittoria dell’esercito della Santa fede, forte di 20mila armati, emanazione del regno di Napoli. Insorgenza che più ampiamente era ricompresa nel quadro d’insediamento della Repubblica partenopea del 1799. Effimera esperienza che, facendo leva sui principi di uguaglianza, fraternità e libertà parigini, si rifaceva proprio agli ideali della rivoluzione transalpina.
La formazione militare giacobina, composta da 1200 effettivi, era capeggiata da Nicola Palomba e da Felice Mastrangelo. Unita alla morte di Firrao vi sarebbe stata, secondo alcuni storici, anche la violenza perpetrata dai sanfedisti ai danni di 40 orsoline di clausura. Episodio che passerà tristemente alla storia di quel torno di tempo come “strage delle innocenti”. E che si sommava al saccheggio del convento nel quale erano ospitate le malcapitate religiose e alla devastazione delle abitazioni del circondario. Ma anche il fatto che presumibilmente avrebbe coinvolto le monache sarà avversato da alcuni studiosi.