Palla al centro

Tennis, Sinner e tifo: il senso della misura

14 Luglio 2025

PESCARA. Di Jannik Sinner e dei suoi trionfi sono pieni i giornali e i mass media. Tutti celebrano l’italiano numero uno al mondo fresco vincitore di Wimbledon. Ma a far riflettere e discutere sono (anche) alcuni suoi fans. Una piccola rappresentanza che sui social ha attaccato due fior di professionisti, come Elena Pero e Paolo Bertolucci, che hanno commentato il cammino trionfale sull’erba di Londra per Sky. Criticati perché non hanno fatto abbastanza tifo per Jannik Sinner. O quantomeno non lo hanno dato a vedere in televisione. Hanno commentato colpi e partita con senso della misura e con compostezza. Senza urlare. Senza sbandierare, magari in maniera sguaiata, tifo e passione per l’italiano in campo. Due premesse fondamentali: Pero e Bertolucci sanno e capiscono di tennis come pochi, ne parlano da anni.

Bertolucci ha anche vinto una Coppa Davis. Entrambi non hanno bisogno di difese d’ufficio, tantomeno di quella di chi scrive. Altro concetto fondamentale: tifare contro Sinner è uno sport inutile, tanto idiota quanto inefficace. E non s’è mai visto che tifando o non tifando il campione vince di più o di meno. Ma il discorso va amplificato: oggi competenza e professionalità non sono più valori basilari per raccontare i fatti dello sport o della vita. Se non si urla, se non ci si mostra parte integrante non si viene apprezzati (accettati?) dal pubblico che ascolta, vede o legge. E’ un problema non di oggi, ma che oggi, addirittura, coinvolge anche il tennis in cui anche il brusio durante il match viene zittito. L’entità degli attacchi a Pero e Bertolucci è figlia di una surreale distorsione della realtà mista ad una mancanza di alfabetizzazione al racconto del tennis.

Si chiede il tifo, si condanna la telecronista per un "no" di disperazione davanti a un errore tecnico clamoroso di Djokovic, si considera inaccettabile che il commento di un evento sportivo, al netto della presenza di un italiano in campo, possa essere narrato con un approccio equilibrato, senza toni da ultras. Quelli “richiesti” nel calcio, ad esempio. Raccontare una partita è anche trasmettere emozioni e stati d’animo, ma a tutto c’è un limite. Soprattutto, una distinzione di ruoli: il giornalista fa il giornalista e il tifoso fa il tifoso. Oggi, invece, c’è commistione. E questo nuoce all’informazione. Tende a creare fake news. Ed è un discorso che non riguarda solo lo sport, ma anche la politica. Ci si divide su tutto. Tutto racchiuso in un con me o contro di me.

E quindi chi racconta una partita o un fatto di cronaca deve avere lo stesso pathos o stato d’animo di chi ascolta. Ognuno vuole sentirsi dire ciò che egli stesso pensa, altrimenti non va bene. Una deriva qualunquista e populista. Che tutti addebitano alla globalizzazione, ma che parte anche dall’educazione, a casa e a scuola. E comunque meglio una brutta verità che una bella bugia. Poi, ognuno di noi si farà un’opinione, se invece c’è chi – attraverso il tifo – vuole inculcarci una versione di parte non va bene. Meglio competenza, professionalità e senso della misura. Sempre. Viva Pero e Bertolucci. E viva Sinner, ovviamente.

@RIPRODUZIONE RISERVATA