Pescara, processo D’Alfonso in aula testimonia anche Pagano
D’Alfonso avrebbe dato incarichi dirigenziali a Dezio prima del concorso sospetto, senza alcuna procedura pubblica, come richiesto invece dal regolamento. È quanto emerso ieri, in aula, durante il processo all’ex sindaco, nella testimonianza del maresciallo che indagò. In aula anche il presidente del consiglio regionale Pagano, tra i firmatari dell’esposto alla procura: "Ma non approfondii la vicenda"
PESCARA. Nazario Pagano arriva nell’aula 1 del tribunale di Pescara puntuale come un orologio svizzero, sorridente come sempre, indosso un gessato scuro: «Speriamo di fare in fretta» dice mentre aspetta, seduto su una sedia dell’ultima fila. Venti minuti dopo, assente la testimone chiamata inizialmente dal pm Paolo Pompa, è il primo a salire sul banco dei testimoni.
Il coinvolgimento di Pagano nella vicenda del concorso sospetto per cui è sotto accusa l’ex sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso comincia, come racconta lui stesso in aula dov’è entrato accompagnato dai flash dei fotografi, all’inizio del 2007, poco dopo che il comune di Pescara (a gennaio) ha bandito il concorso per due posti da dirigente. All’epoca è consigliere regionale, ma è anche consigliere comunale del centrodestra a Pescara.
È un collega di coalizione che siede con lui nell’aula del capoluogo adriatico, Carlo Masci, racconta, a chiedergli di accertare alla direzione del Personale del consiglio regionale se Guido Dezio, all’epoca il più fidato collaboratore del sindaco, sia mai stato dipendente del consiglio regonale: «Feci istanza e ottenni la risposta dalla dirigente Silvana De Paolis l’8 febbraio 2007: mi si diceva che Dezio non aveva mai prestato servizio in consiglio regionale né a tempo determinato, né a tempo indeterminato. Io so che aveva lavorato con contratto, presumo subordinato, nel gruppo del Partito popolare». Un gruppo che, all’epoca, era guidato proprio da D’Alfonso.
«Le risulta che fosse inquadrato come dirigente?» è la domanda del pubblico ministero. «La legge 18 non prevede figure dirigenziali per i gruppi consiliari» è la risposta. Di più: l’attività dirigenziale è prevista solo per lo staff del presidente della giunta e del presidente del consiglio, «nei gruppi ci sono solo funzionari». La retribuzione, tuttavia, spiega, è a carico del consiglio regionale che eroga ai gruppi i fondi necessari in base al numero dei consiglieri che ne fanno parte. Un dettaglio che la difesa giudica importante: niente assunzione, ma è la Regione che paga.
Nel maggio 2007 parte il ricorso. Pagano lo firma assieme a un gruppo di consiglieri di opposizione: ci sono tra gli altri Carlo Masci, Augusto Di Luzio, Andrea Pastore, Marcello Antonelli, Luigi Albore Mascia, Alfredo Castiglione, Nicoletta Verì, Alfredo Castiglione. «Mi chiesero di sottoscriverlo e ritenendolo fondato lo firmai, ma non ho approfondito né prima né dopo la vicenda» precisa il presidente del consiglio. «Né ricordo se all’epoca fosse già stato assunto in Comune».
Lo sottolinea Pagano: troppi impegni per i due incarichi, difficile stare dietro a tutto. «Questa» dice, «è la ragione per cui non mi sono ricandidato in Comune». Neppure Pagano ha memoria del parere del dirigente regionale Giuseppe D’Urbano, pure richiamato nell’esposto. Ricorda? «No». E di Dezio, assunto nel 2003 nell’ufficio del sindaco D’Alfonso, cosa ricorda? «Lo vedevo, ma non mi sono mai informato sulla sua qualifica».
Dura una decina di minuti in tutto l’interrogatorio, poi Pagano lascia l’aula.
Il coinvolgimento di Pagano nella vicenda del concorso sospetto per cui è sotto accusa l’ex sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso comincia, come racconta lui stesso in aula dov’è entrato accompagnato dai flash dei fotografi, all’inizio del 2007, poco dopo che il comune di Pescara (a gennaio) ha bandito il concorso per due posti da dirigente. All’epoca è consigliere regionale, ma è anche consigliere comunale del centrodestra a Pescara.
È un collega di coalizione che siede con lui nell’aula del capoluogo adriatico, Carlo Masci, racconta, a chiedergli di accertare alla direzione del Personale del consiglio regionale se Guido Dezio, all’epoca il più fidato collaboratore del sindaco, sia mai stato dipendente del consiglio regonale: «Feci istanza e ottenni la risposta dalla dirigente Silvana De Paolis l’8 febbraio 2007: mi si diceva che Dezio non aveva mai prestato servizio in consiglio regionale né a tempo determinato, né a tempo indeterminato. Io so che aveva lavorato con contratto, presumo subordinato, nel gruppo del Partito popolare». Un gruppo che, all’epoca, era guidato proprio da D’Alfonso.
«Le risulta che fosse inquadrato come dirigente?» è la domanda del pubblico ministero. «La legge 18 non prevede figure dirigenziali per i gruppi consiliari» è la risposta. Di più: l’attività dirigenziale è prevista solo per lo staff del presidente della giunta e del presidente del consiglio, «nei gruppi ci sono solo funzionari». La retribuzione, tuttavia, spiega, è a carico del consiglio regionale che eroga ai gruppi i fondi necessari in base al numero dei consiglieri che ne fanno parte. Un dettaglio che la difesa giudica importante: niente assunzione, ma è la Regione che paga.
Nel maggio 2007 parte il ricorso. Pagano lo firma assieme a un gruppo di consiglieri di opposizione: ci sono tra gli altri Carlo Masci, Augusto Di Luzio, Andrea Pastore, Marcello Antonelli, Luigi Albore Mascia, Alfredo Castiglione, Nicoletta Verì, Alfredo Castiglione. «Mi chiesero di sottoscriverlo e ritenendolo fondato lo firmai, ma non ho approfondito né prima né dopo la vicenda» precisa il presidente del consiglio. «Né ricordo se all’epoca fosse già stato assunto in Comune».
Lo sottolinea Pagano: troppi impegni per i due incarichi, difficile stare dietro a tutto. «Questa» dice, «è la ragione per cui non mi sono ricandidato in Comune». Neppure Pagano ha memoria del parere del dirigente regionale Giuseppe D’Urbano, pure richiamato nell’esposto. Ricorda? «No». E di Dezio, assunto nel 2003 nell’ufficio del sindaco D’Alfonso, cosa ricorda? «Lo vedevo, ma non mi sono mai informato sulla sua qualifica».
Dura una decina di minuti in tutto l’interrogatorio, poi Pagano lascia l’aula.