Abruzzo

Tragedia di Marcinelle, il dolore dell’Abruzzo: «Mio figlio cresciuto senza il papà»

8 Agosto 2025

La strage in miniera in Belgio dell’8 agosto del 1956: ci furono 262 vittime, di cui 136 italiani (60 abruzzesi e 22 di Manoppello). Il ricordo dell’ultima vedova,  Lucia Romasco (foto) oggi 90enne

MANOPPELLO. «Avevo 21 anni e un bambino di 10 mesi che non ha mai conosciuto suo padre», inghiottito dalla miniera appena 28enne. Lucia Romasco, che oggi ha 90 anni, di Manoppello, è l’ultima vedova di Marcinelle e oggi parteciperà alle celebrazioni in onore delle vittime del Bois du Cazier, in Belgio, saltato in aria quel maledetto 8 agosto 1956. Marcinelle, 69 anni dopo. Sono ancora dolorosi e brucianti i ricordi di chi, mogli, madri, sorelle, fidanzate, quei giorni, attesero invano, aggrappate ai cancelli della miniera di carbone, disperate e in lacrime, quei padri, figli, nipoti, che non sarebbero mai più tornati. Oggi è il giorno del ricordo delle 262 vittime, 136 italiani, 60 abruzzesi, 22 di Manoppello (definita la “Città martire”) che non sono tornati a casa. Dispersi, carbonizzati, mai ritrovati. Polverizzati da una scintilla nelle viscere della terra. Oggi Manoppello e Marcinelle saranno unite idealmente quando nella stessa ora, le 8.10, l’ora fatidica, si celebreranno contemporaneamente le due cerimonie in Belgio e a Manoppello alla presenza delle istituzioni locali e regionali. Durante la cerimonia saranno letti i nomi delle sessanta vittime abruzzesi e depositate corone d’alloro ai monumenti.

GIORNATA VITTIME DEL LAVORO La sciagura di Marcinelle è una ferita nel cuore dell’Europa, quella stessa Europa che oggi intende istituire una Giornata dedicata alle vittime del lavoro. L’11 aprile scorso è stata presentata al Parlamento europeo la proposta di risoluzione che consentirà di ricordare ogni anno, l’8 agosto, di commemorare le vittime. L’iter è in corso. Anche la Camera dei deputati ha ricordato le vittime del Bois du Cazier, nei giorni scorsi. Ma intanto, 69 anni dopo, il dolore di chi è rimasto, non si è sopito. Anzi, sconvolge ogni anno che passa.

L’INCONTRO CON LA PRINCIPESSA Lo ripete sempre, Lucia Romasco, l’ultima vedova che nove anni fa incontrò la principessa Astrid del Belgio in visita a Manoppello e la ringraziò per l’assistenza ricevuta dal suo Paese subito dopo la tragedia. A lei raccontò la sua disperazione: «Un mese dopo il matrimonio, mio marito Santino Di Donato ed io partimmo da Manoppello per il Belgio». Una coppia piena di sogni, che viaggiò con la valigia di cartone, coltivando la speranza di una vita migliore. Lui aveva 28 anni quando l’inferno di fuoco lo avvolse nella miniera senza più ossigeno, lei 21 anni e un bambino di appena 10 mesi.

COSA ACCADDE Un incendio, causato dalla combustione d’olio ad alta pressione innescato da una scintilla elettrica. E fu subito un inferno di fuoco che lasciò scampo a pochi. A nulla valsero i tentativi di salvataggio che arrivarono dall’esterno, nei tempi possibili per quell’epoca. Solo in 13 si salvarono. Ben 262 morti pesarono sulla coscienza di chi, forse, avrebbe dovuto assicurare una qualità di lavoro migliore nelle viscere della terra. L’incidente minerario fu il peggiore della storia belga. Dei morti, 96 erano di cittadinanza belga, 136 italiani (sessanta partiti dall’Abruzzo), 12 di altre nazionalità. I resti dei minatori intrappolati nel fondo della miniera di carbone furono rinvenuti solo il 23 agosto 1956, quindici giorni dopo la tragedia. Tutti cadaveri.

L’OROLOGIO Alla principessa Lucia, la signora Lucia mostrò ciò che restava del marito con cui aveva condiviso un lungo viaggio di speranza: un orologio da taschino, che le fu riconsegnato dopo il rinvenimento dei corpi. «Mio figlio non ha mai conosciuto suo padre» ricorda sempre Lucia, «e da quel momento per noi il Belgio divenne terra maledetta. Ma mentre la famiglia reale belga non ci negò mai aiuti, una volta tornati in Italia in tanti ci dimenticarono. Gli anni passano, ma il dolore no».

L’ALTRO DOLORE Un’altra storia dolorosa di immigrazione finita in tragedia a Marcinelle, è quella Maria Di Valerio, scomparsa nel 2023 a 85 anni, originaria di Serramonacesca dove è nata il 13 maggio 1938 da mamma Eufresina Teresa D’Antonio e papà Donato, ma vissuta sempre a Manoppello. Rimase vedova a soli 18 anni, lasciata ad accudire una bimba di 14 mesi nella culla e un’altra nella pancia che nascerà nello stesso giorno del funerale del padre. Suo marito, Camillo Iezzi, perse la vita a 26 anni. I soccorritori ritrovarono il giovane minatore a 900 metri sotto terra, morto soffocato, accovacciato dentro un cunicolo nel quale si era rifugiato per cercare una via d’uscita. Era una specie di nascondiglio segreto che aveva rivelato alla moglie, ironia della sorte, solo la sera prima di morire, quasi presagio del destino che lo attendeva. Camillo Iezzi fu una delle prime vittime a essere riportate in superficie, insieme al fratello Rocco; l’altro, Geremia, si salvò. Fu immediatamente trasportato in ospedale perché si pensava respirasse ancora. Invece Maria venne a conoscenza della morte del suo sposo dalla radio, mentre rinveniva dopo essere svenuta dalla disperazione davanti ai cancelli della miniera, appena compreso l’origine della sciagura.

IL RACCONTO AGLI STUDENTI Maria ha sempre raccontato agli studenti e a chi aveva voglia di ascoltare l’odissea di quel giorno scolpito nella sua memoria: «Mio marito uscì alle 7,30 da casa, distante 500 metri dal pozzo. Io ero ancora a letto, facevo finta di dormire. Era il nostro gioco d’amore. Diede un bacio a me e Gemma che aveva 14 mesi e accarezzò nostra figlia Camilla nella pancia; ero incinta di sei mesi. Uscì sereno, non mostrava mai preoccupazioni, malgrado in quel periodo circolassero voci sulla carenza di sicurezza nei pozzi. Tranne la sera prima quando a tavola, durante la cena, mi disse a bruciapelo: se dovesse accadere qualcosa in miniera, non ti preoccupare perché so dove andare, mi salverò. Purtroppo, quella via d’uscita era un vicolo cieco e lì lo hanno ritrovato senza vita. Indossava un pantalone marrone, una camicia a quadri e una giacca. Questa è l’ultima immagine che ho di lui. Non l’ho più visto neppure da morto e non sono riuscita a recuperare i suoi effetti personali. Dopo le otto, vidi passare davanti alle finestre un treno merci senza carbone e una nuvola di fumo denso. Pensai disperata: lui è sotto. Lasciai la bimba e mi misi a correre all’impazzata verso i cancelli, che chiusero alla folla di familiari. Urlai disperata il nome di Camillo e svenni». La sera arrivò in baracca re Baldovino e lei fece la conoscenza anche della regina Fabiola: «Mi cercò a Marcinelle», ricordava Maria, «voleva conoscere la vedova bambina di cui aveva tanto sentito parlare». In seguito, nel 2016, conobbe anche la principessa Astrid a Manoppello. Dei reali ricordava «gli abbracci, la vicinanza». La figlia che aveva in pancia la chiamò come il padre, Camilla, che ricevette l’ultima carezza prima di morire. Lei nacque a Manoppello il 27 novembre 1956 negli stessi istanti in cui si celebravano i funerali del padre, tornato in paese tre mesi dopo la morte.