BUFERA CONSIP

Renzi incalzò il padre: «Devi dire la verità»

Scoppia la polemica per l'intercettazione rivelata dal Fatto Quotidiano. L'ex premier: «Gogna mediatica, ma non farò nulla». M5S: «È una cricca»

ROMA. «Babbo, non puoi dire bugie, devi ricordarti che non è un gioco. Devi dire tutta la verità». È il 2 marzo, le 9.45 del mattino. Matteo Renzi parla con il padre Tiziano, indagato nell'inchiesta Consip. Lo incalza sulla «clamorosa intervista» di Repubblica che svela una cena segreta in una «bettola» con l'imprenditore Alfredo Romeo. Matteo chiede a Tiziano se è vero. Il colloquio viene intercettato e la trascrizione giunge al giornalista del Fatto Marco Lillo, che due mesi dopo la pubblica. Con l'effetto di riportare in primo piano la vicenda Consip e il dibattito sulle intercettazioni. «La pubblicazione è illegittima», si indigna Renzi: «È una gogna mediatica, chi viola la legge pagherà ma non farò niente» per inasprire le norme. «Umanamente la vicenda mi fa male ma politicamente mi fanno un regalo: dimostrano la mia serietà». Il colloquio tra l'ex premier e il padre Tiziano, pubblicato sul Fatto e riportato nel libro di Lillo «Di padre in figlio», è stato intercettato a marzo dal Noe per conto della procura di Napoli.

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L'inchiesta Consip è stata poi trasferita alla procura di Roma ma la conversazione è stata ritenuta irrilevante: i pm romani Paolo Ielo e Mario Palazzi, che proprio ora aprono un nuovo filone d'indagine per gli appalti Grandi Stazioni, dicono di non avere neanche le trascrizioni. E dopo la divulgazione, i magistrati della capitale aprono un fascicolo per violazione del segreto istruttorio. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando avvia accertamenti preliminari. Nella telefonata Tiziano assicura di non aver mai cenato con Romeo, mentre dice di non ricordare eventuali incontri al bar. «Devi ricordare tutto, non è più la questione della Madonnina e del giro di merda di Firenze per Medjugorje», lo incalza Renzi. «Devi dire la verità in quanto in passato la verità non l'hai detta a Luca» Lotti, aggiunge. «Andrai a processo, ci vorranno tre anni e io lascerò le primarie», paventa il leader Dem. Che in mattinata - riletta la conversazione - affida a un lungo post la sua versione dei fatti, che ribadisce poi in una diretta Facebook e in una Enews. Mentre il padre Tiziano, incalzato dai cronisti, li allontana bruscamente.

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È provato, spiega Matteo, perché «c'è stata una caccia all'uomo»: ha subito, racconta, due piccoli interventi al cuore. La divulgazione del colloquio è «una gogna che mostra i rapporti tra alcune redazioni e procure. Qualcuno per questo si è tolto la vita in passato. Umanamente mi spiace perché sono stato duro con mio padre, ho dubitato di lui. Ma da uomo delle istituzioni - scrive Renzi - voglio la verità. Qualcuno sta violando la legge e non siamo noi». Il segretario Pd, che preannuncia querele, aggiunge che «politicamente» il Fatto gli fa un «favore» perché dimostra che lui era estraneo alla vicenda. E aggiunge che il tempismo della pubblicazione è sospetto: «Ogni volta che il Pd risale nei sondaggi c'è uno scandaletto», sottolinea con riferimento anche al caso di Banca Etruria. Il «favore» politico alimenta battute e sospetti in transatlantico e Francesco Rutelli, citato come amico di Romeo, nello smentire la «falsità» dice di non poter giudicare se il colloquio fosse «mosso dall'ira o studiato a tavolino». Ma la maggioranza (escluso Mdp, che parla di familismo) e FI esprime solidarietà al leader Dem: «Spero che il Fatto abbia cambiato fornitore di intercettazioni», dice Matteo Orfini, con riferimento alla falsificazione degli atti di Consip per cui è indagato un capitano dei Carabinieri. Ma il M5s attacca: «Troppi aspetti opachi, è una cricca», dicono i capigruppo. Renzi «infanga le istituzioni», secondo Di Maio.

La prossima settimana arriverà in Aula alla Camera per il via libera definitivo la riforma del processo penale, che include una delega al governo per una stretta sulle intercettazioni, perché non vengano pubblicate quelle irrilevanti. «Sono 20 anni che c'è il malcostume di pubblicarle - afferma Renzi - è vergognoso ma io lascio al codice deontologico dei giornalisti, non chiedo alcunché». Nessuna intenzione di «rivalersi» sul piano legislativo: «Non cerco vendette».