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11 luglio

11 Luglio 2025

Oggi, ma nel 1979, a Milano, in via Morozzo della Rocca, l’avvocato Giorgio Ambrosoli, di 45 anni, da sei liquidatore della Banca privata italiana riconducibile a Michele Sindona, che era latitante a New York, veniva ucciso dal sicario William Joseph Aricò, detto “Bill lo sterminatore”, proprio su mandato dello stesso bancarottiere di Patti. Quest’ultimo verserà 115mila dollari al sicario, che giustizierà il legale meneghino con quattro colpi di pistola 357 magnum centrandolo mentre era intento a chiudere la portiera dalla sua Alfetta Alfa Romeo per rincasare. Il rischioso incarico era stato affidato alla vittima dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli: sostanzialmente perché il fosco istituto creditizio ambrosiano risultava insolvente per 500 miliardi di lire.

L'instancabile Giorgio Ambrosoli (nella foto, particolare) era riuscito a recuperare 249 miliardi ed anche a rimborsare parte dei creditori privilegiati. Ma si era opposto al salvataggio bancario "totale" da attuarsi mediante flebo di soldi dello Stato. Piano che, invece, era proprio quello preventivato dal faccendiere siciliano. Il 18 marzo 1986, nel capoluogo lombardo, Michele Sindona verrà condannato all’ergastolo. E il 20 marzo, nel carcere di Vogherà, la sua esistenza terrena verrà stroncata dalla famigerata tazzina di caffè corretta al cianuro di potassio.

Durante la puntata della trasmissione “La storia siamo noi” dell’8 settembre 2010, il pungente senatore a vita Giulio Andreotti, che secondo alcuni addetti ai lavori - tra i quali anche l'arguto Sergio Turone, giornalista del Messaggero e di Avvenimenti nonché docente universitario di Storia e metodologia del giornalismo della facoltà di Scienze politiche dell’ateneo di Teramo - sarebbe idealmente stato non solo dietro alla dose di veleno letale per Sindona, ma avrebbe pure rivestito il ruolo di ipotetico mandante morale dell’omicidio Ambrosoli, intervistato da Giovanni Minoli definirà proprio il malcapitato Ambrosoli, in termini romaneschi, «uno che se l’andava cercando». Salvo poi tornare sulla questione, in una nota per la stampa, scusandosi e contestualizzando meglio il senso della sua frase.