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15 DICEMBRE

Oggi, ma nel 1869, a Perugia, si suicidava ingerendo un'intera boccetta di cianuro di potassio, utilizzato per lo sviluppo delle sue lastre fotografiche, il pittore dell’inquietudine Federico Faruffini, di 33 anni, originario di Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, che verrà ritenuto dai critici come autore di trapasso tra il romanticismo e il realismo (nella foto, particolare, una delle sue opere più apprezzate, basata sull’emancipazione femminile, “La lettrice”, olio su tela, di 59x40,5 centimetri, del 1864, ispirato a Clara del romanzo incompiuto “Fosca” di Iginio Ugo Tarchetti, emblema della scapigliatura nella letteratura, pubblicato postumo, nel 1869, tela conservata nella Galleria d’arte moderna di Milano).

Aveva tirato a sorte mettendo due biglietti chiusi nel cappello, su uno vi aveva scritto “vita”, sull’altro “morte”. Veniva raccolto, ancora agonizzante, per le scale dello studio, dal pittore perugino Annibale Brugnoli, che sarà tra i più famosi decoratori della Roma umbertina, che lo era andato a cercare a casa. Faruffini lasciava la moglie Adele Mazzoleni, sposata l’anno precedente, e la figlia Teresita, di pochi mesi.

Come scriverà lo scapigliato Carlo Pisani Dossi nel suo diario “Note Azzurre”, tenuto tra il 1870 e il 1907, che verrà dato alle stampe post mortem, nel 1912, dalla casa editrice Treves, di Milano, a cura della moglie Carlotta Borsani: «Faruffini è un raggio di luce elettrica in sale illuminate ad olio».

Aveva provato anche la tecnica dell’acquaforte e la fotografia, ma le sue produzioni erano ritenute eccessivamente sperimentali, come per molti altri artisti il cui successo scoppierà solo tardivamente, dopo il trapasso. Faruffini si era formato artisticamente a Pavia, seguendo gli insegnamenti del bergamasco Luigi Trecourt, maestro nella civica scuola di pittura, istituzione che era diretta dal fratello Giacomo Trecourt.

Ma soprattutto aveva sperimentato. Lo aveva fatto insieme all’amico pavese Tranquillo Cremona, di 4 anni più giovane, considerato dagli addetti ai lavori l’iniziatore della scapigliatura nell’arte pittorica, che morirà, il 10 giugno 1878, nella città ambrosiana, a 41 anni, per avvelenamento da contatto con coloranti tossici a base di piombo, soprattutto quello delle biacche, che impiegava abitualmente per le proprie tele stendendolo spesso a mani nude, senza pennello. E poi Faruffini aveva fatto tanta pratica anche con l’amico di Montegrino Valtravaglia, in quel di Varese, Giovanni “Piccio” Carnovali, col quale era stato a Roma e poi a Parigi, tra il 1865 e il 1867.

Prima di togliersi la vita avvelenandosi aveva tentato, ma senza successo, di farla finita gettandosi nel fiume Tevere dopo aver rifiutato l’idea di abbracciare la religione ritirandosi in un monastero. Alla sua prematura scomparsa avevano contribuito le cattive condizioni economiche, i contrasti con il padre, che non aveva mai approvato la scelta artistica del figlio, e il precario equilibrio mentale che era stato implementato dalla somma delle difficoltà. Nel 1953 alla sua memoria sarà intitolata la scuola civica d’arte di Sesto San Giovanni.