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18 OTTOBRE

Oggi, ma nel 1953, a Venezia, nel Palazzo Ducale, chiudeva la prima grande mostra, composta da 110 dipinti, provenienti da tutto il globo, dedicata al veneziano Lorenzo Lotto.

Era l’artista dalla “sfortuna sottile”, ritenuto tra i principali pittori del Rinascimento, non solo della città lagunare, il cui contesto era dominato, in quel primo Cinquecento, da Tiziano Vecellio da Pieve di Cadore. Anche se pure Giorgio Zorzi, “Giorgione” da Castelfranco Veneto, che come Tiziano era cittadino della Repubblica di Venezia, aveva concorso ad oscurare Lotto.

Il riconoscimento postumo da parte della grande città lagunare che gli aveva dato i natali, nel 1480, avveniva per Lotto a 400 anni dalla morte. Ingloriosa fine che si era verificata, da oblato, nel santuario di Loreto Marche, nel quale era entrato nel 1554, a 74 anni, donando tutti i suoi averi, oltre alla propria bravura, alla Santa casa. Luogo di culto nel quale era spirato, nel più assordante silenzio, nel 1557.

L'esposizione (nella foto, particolare, uno dei capolavori presenti, intitolato “San Domenico resuscita il cardinale Napoleone Orsini”, olio su tavola, di 51 x 97 centimetri, terminato nel 1516, conservato nella pinacoteca dell’Accademia Carrara di Bergamo, che originariamente componeva una delle tre predelle del dipinto Pala Martinengo, realizzato come pala d’altare della chiesa bergamasca dei santi Bartolomeo e Stefano), di grande risonanza mediatica internazionale, era curata da Pietro Zampetti. Quest'ultimo, soprintendente ai beni culturali di Venezia e ordinario di Storia dell’arte dell’università di Urbino, si occupava anche del catalogo, da 202 pagine, pubblicato nello stesso anno dalla casa editrice Arte veneta di Venezia. Il vernissage c’era stato il 14 giugno precedente.

Attivo anche in Lombardia e nelle Marche, Lotto, dall’esistenza sofferta, inquieta, caratterizzata da “umiliata estraneità” allo scenario artistico della città marciana, era esponente di uno stile pittorico estremamente influenzato dalla sua vena umorale, dal piglio anticonformista. Caratteristica che, se da un lato lo aveva emarginato nel suo quadro storico, dall’altro conferirà, in seconda battuta, grande modernità alle sue creazioni, in particolar modo ai ritratti che erano il suo pezzo forte.