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27 AGOSTO

Oggi, ma nel 1917, a Udine, nel quartiere di Sant’Osvaldo, a due chilometri dal centro cittadino, alle 11, esplodeva, per cause che rimarranno ignote, la polveriera della seconda armata: il deposito di proiettili di vario calibro, tubi di gelatina, mine e bombe a mano, oltre che di benzina e di altro combustibile. Era stato allestito nell’edificio scolastico, appena costruito e mai entrato in funzione, a ridosso dell’ospedale militare, già nosocomio psichiatrico. Alla prima deflagrazione ne seguivano altre due di pari intensità. I tre scoppi causavano 27 morti, tra cittadini e soldati, e 200 feriti. Più danneggiamenti ai fabbricati fino a 14 chilometri in linea d’aria. La città friulana, amministrata dal primo cittadino Domenico Pecile, era sede del comando supremo militare tricolore e per questo volgarmente detta “capitale della guerra”, ma anche per la posizione limitrofa al fronte del combattimento del primo conflitto mondiale. Per tale motivo, tra le ipotesi del “grande botto”, figurerà anche quella del sabotaggio da parte degli austroungarici e quella del bombardamento aereo avversario.

La sciagura verrà coperta da segreto di Stato e ridotta a disgrazia accidentale, come quella verificatasi, il 24 agosto precedente, a Roma, alla Santabarbara della caserma del reparto di artiglieria aerea del regio Esercito che aveva provocato 240 vittime tra militari e civili. In occasione del centenario, il 27 agosto 2017, nella cappella della chiesa di Sant’Osvaldo, che allora era stata devastata (nella foto, particolare, i resti della vecchia chiesetta della Pietà, circondati dalle macerie), verrà allestita la mostra commemorativa, curata da Elisa Bertoli, Silvia Bianco, Ilaria Bertoli e Massimo Turco, con la collaborazione di Gaetano Vinciguerra, che renderà onore ai caduti. La controversa vicenda verrà sviscerata nelle 167 pagine del volume, scritto dal già menzionato Vinciguerra, intitolato “Lo scoppio di Sant’Osvaldo. Udine 27 agosto 1917”, che verrà pubblicato dall’editore udinese Gaspari, nel 2021.