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29 dicembre

Oggi, ma nel 1949, a Roma, veniva emanata la "legge Andreotti" sul cinema che sosteneva e promuoveva la crescita della produzione italiana, frenava l'avanzata dei film americani e conteneva il neorealismo tricolore. Era la legge 29 dicembre 1949 numero 958, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica numero 301 del 31 dicembre successivo, presentata dal sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri, con delega anche allo spettacolo, il democristiano Giulio Andreotti, del governo guidato da Alcide De Gasperi.

Accusato di voler uccidere il neorealismo, il futuro “Divo” (nella foto, particolare, con l’attrice Anna Magnani, alla mostra del cinema di Venezia, il 19 agosto 1948) aveva spiegato, con una frase che rimarrà negli annali della politica scudocrociata: «I panni sporchi si lavano in famiglia». Con l’entrata in vigore della nuova normativa, prima di poter ricevere finanziamenti pubblici, la sceneggiatura doveva essere approvata dalla commissione di Stato istituita per quella funzione. E se tale consesso riteneva che, una volta girata, la pellicola contenesse aspetti diffamatori per il Belpaese poteva essere negata la licenza d’esportazione. Di fatto entrava in vigore la censura preventiva.

A farne le spese saranno pietre miliari come “Umberto D.”, di Vittorio De Sica, del 1952. Tuttavia la “legge Andreotti” riuscirà a rimettere in moto il cinema italico e se nel 1948 i lungometraggi visti nelle sale italiane erano per il 77 per cento americani, la percentuale scenderà al 56 nel 1954. Andreotti attirerà sul suo operato da censore non poche critiche, politicamente trasversali. L’esponente della Dc ribatterà ai crescenti detrattori che la sua scelta non era stata voluta per far piombare la nazione nel proibizionismo, ma per proteggerla, in modo strategico, in una fase storica altamente delicata. Nei ricordi dello stesso Andreotti il taglio più doloroso operato durante l’incarico a Palazzo Chigi sarà verso la contro-inchiesta cinematografica, realizzata per il Partito comunista italiano, dal regista Carlo Lizzani, riguardante l’uccisione di 6 operai delle Fonderie riunite di Modena, perpetrato il 9 gennaio 1950, da agenti della Polizia, secondo le disposizioni del ministro dell’Interno Mario Scelba. Notizie che verranno ricordate nella video intervista, di Tatti Sanguineti, per Cinecittà Luce, del 2015, “Giulio Andreotti, la politica del cinema”. Andreotti, in carica dall’1 giugno 1947, terminerà il suo mandato da censore il 19 gennaio 1954 e il successore, Oscar Luigi Scalfaro, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega allo spettacolo dal 10 febbraio di quell’anno, nell’esecutivo capeggiato da Scelba, sarà nettamente più intransigente nell’operare tagli ai film e dispensare divieti.