L'irresistibile ascesa di un'icona del vuoto

22 Settembre 2019

Lei non canta, non balla, non declama, non si spoglia. È carina, ma non bellissima. Sempre tirata a lucido, ma non sexy, tutt'altro che prorompente. Sfila incessantemente nelle mini-immagini quadrate e minuziosamente ritoccate che posta su Instagram, ma non ha particolare allure, né eleganza. Però sbanca il botteghino, 51.000 spettatori il primo giorno di uscita con il suo docu-film che, anche questo, non è documentario né film, ma una finestra su un mondo vacuo e ai più alieno. Il mondo di Chiara Ferragni (“unposted”, ma mica tanto), regina degli influencer dell’impero occidentale con i suoi 17 milioni di follower su Instagram: secondo la rivista Forbes, tra i 30 giovani più influenti al mondo.

Inutile bollarla come fenomeno da baraccone: lei c’è, e come se c’è, in tutta la sua fatua essenza. In perpetua modalità immagine, perfetta per una generazione social per cui se non sei visibile, non esisti.

Chiara Ferragni, invece, è bravissima a inventarsi un’esistenza virtuale e infinitamente desiderabile. Lei è un cult come la Coca Cola o come i marchi del lusso. Tanto da diventare, corpo e anima, un vero e proprio “brand”, un’azienda che nulla produce tranne una infinita fiction a uso e consumo di follower affamati. Una fiction che dietro l’abile messa in scena di un’autenticità fatta di scatti solo apparentemente rubati di vita vera, in realtà nasconde il lavoro di 80 dipendenti che selezionano, consigliano, creano e promuovono. Non c’è foto in cui non sia perfettamente truccata e lisciata: il sugo degli spaghetti che mangia mai si posa sulle sua labbra perfettamente disegnate, gli occhi già tracciati con l’eyeliner di prima mattina si aprono su cuscini sempre freschi di bucato e stiratura.

Le frasi a corredo di questa sua vita spezzettata in immagini sono standard come quelle dei manuali di autostima e Chiara le recita con la solita diligenza da prima della classe. Tutto è “super”, “indimenticabile”, “pazzesco”. Lo sguardo sempre diretto verso l’obiettivo, come se ogni foto facesse parte di un album di famiglia che il follower, fortunato lui, è invitato personalmente a sfogliare, come fanno, appunto, gli amici più stretti, in un’illusione di intimità che diventa del tutto credibile solo in questa realtà virtuale.

Chiara Ferragni è riuscita a trasformarsi, scatto dopo scatto, selfie dopo selfie, nell’interprete perfetta di questi tempi iperconnessi. Ha successo perché è seguita, è seguita perché ha successo. Un cortocircuito che sfrutta la logica stessa dei social: più like collezionano i suoi post, più salgono in classifica e più salgono in classifica, più like continuano a racimolare. È la reinvenzione della favola moderna, Barbie che sposa il suo Ken in mondovisione, con la macchina di Barbie, i vestiti di Barbie e il bebè di Barbie: una bambola rigida e bionda con cui tutti possono giocare.

Sarà anche la rappresentazione del nulla, ma è un nulla che rassicura e non chiede alcun impegno tranne la credulità. Un vuoto triste e cinico che permette a ognuno di convincersi che, con uno smartphone e niente più, si può fingere di essere, e quindi infine essere, chiunque si voglia.
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