VISTO E SEGNALATO

L'ospedale di Penne visto dalla Di Pietrantonio

Non può passare inosservato l'intervento di un Premio Campiello (e terzo Premio Strega quest'anno) e di una scrittrice come Donatella Di Pietrantonio sull'ospedale San Massimo di Penne, non il "suo" ospedale (lei è di Arsita, ma risiede nel centro vestino ed è laureata in Odontoiatria) ma un ospedale, come tutti, di tutti.

Donatella Di Pietrantonio

La Di Pietrantonio alterna le luci sulla dedizione degli operatori, per far sì che l'ospedale sia davvero un ospedale, alle moltre ombre su un sistema sanitario che s'impegna a distruggere quanto crea. Scrive: "Neanche la pandemia sembra aver insegnato niente sull’importanza della medicina territoriale. Soprattutto non si è capito quanto lo spopolamento dei territori sulla dorsale appenninica sia legato anche alla sottrazione di risorse alla sanità locale. Ma quello che ci riesce meglio è “distruggere i mondi finché sono in vita per poi piangerli o rimpiangerli quando sono ormai defunti o moribondi”, dice Vito Teti. E certi piagnistei colposi sull’abbandono delle terre alte e medie risultano insopportabili non meno dei nuovi sfacciati inviti a governare lo spopolamento".

L'intervento (leggi qui la versione completa) è fatto di parole semplici, che per questo incidono molto di più su chi legge e che da esterno si sente tirato per la maglia dentro quelle fotografie che spesso si vedono dei corridoi infiniti, le camerate, attraversate dalle voci e grida di lamento di pazienti e infermieri. Ombre e luci che la Di Pietrantonio intreccia per dipingere uno stato delle cose immobile intriso da valori che al di là di quelle mura non emergono. "A volte", si legge, "mi sono chiesta chi glielo fa fare a Delle Monache e Orlando di rimanere qui, con le competenze che hanno. Ma per nostra fortuna c’è ancora un’etica che muove alcuni, e va oltre le carriere. (...) Ogni tanto viene assegnato qualche giovane medico, ma con contratti di tre (TRE!) mesi, rinnovabili o anche no, in una condizione di eterno e frustrante precariato. C’è chi sceglie di restare in un presidio periferico che nessun politico ha poi il coraggio di chiudere veramente, perché le legislature passano in fretta e arriva presto il tempo di tornare a chiedere voti anche in questi posti così sfigati".

Un quadro che si fa severo quando la Di Pietrantonio scrive che intanto il San Massimo, come altri ospedali di prossimità, vengono rosicchiati da dentro, scomposti, abbandonati all’incuria. E che chi vive nei piccoli luoghi "sta perdendo o ha già perso il diritto alla salute. Da anni, da decenni la razionalizzazione della spesa sanitaria è usata come pretesto per una politica di basso cabotaggio che ha come solo obiettivo interessi singoli e particolari".

Ci viene in mente la recente polemica sui ricoveri covid che L'Aquila vuole tutti a Pescara e per la quale la Regione Abruzzo si è dovuta impegnare per trovare in fretta e furia una via d'uscita  rimettendo tutto nella mani della Asl. A condizione che siano trasferiti anche infermieri e personale.

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