Chieti, ecco la maxi lavatrice che trasforma i rifiuti in energia termica

Siamo entrati nel Tmb, acronimo che sta per “trattamento meccanico biologico"; l’impianto Deco di Casoni arrivano Tir da 80 Comuni d’Abruzzo

CHIETI. Alla reception trovi una ragazza di Penne che sorride e chiede i documenti. Se alzi lo sguardo e domandi “chi ha progettato l’ingresso?”, il direttore, Mirco D’Amico, risponde: “è opera di un architetto, Lelio Oriano Di Zio, lo stesso dell’albergo diffuso di Santo Stefano di Sessanio”. Sembra di stare in un hotel a cinque stelle, invece siamo nel Tmb di Contrada Casoni: la più grande lavatrice di rifiuti d’Abruzzo, la seconda d’Italia dopo Malagrotta di Roma. L’acronimo Tmb sta per “trattamento meccanico biologico”.

Arriviamo di sorpresa davanti a questa struttura imponente, grande come la Concordia o lo stadio di San Siro: diecimila metri quadrati coperti e altri due ettari e mezzo all’aperto; diecimila è anche il numero dei metri quadrati di pannelli solari che coprono interamente il tetto per garantire l’autarchia energetica dell’impianto. I numeri sono tutti grandi. Come quello delle tonnellate di rifiuti che ogni giorno finiscono nella lavatrice, o come i comuni che mandano il proprio indifferenziato nella contrada alle porte di Chieti e, infine, alla teoria di Tir che, durante la notte e all’alba, arrivano a Casoni da tutto il Pescarese, i trequarti del Teramano e buona parte del Chietino. Mille sono le tonnellate, 80 i Comuni e 35 i Tir. Ma la domanda è un’altra: qual è la missione del Tmb? E’ semplice da dire: trasformare i rifiuti in energia termica. Ma è complesso da fare, perché in questa struttura, circondata da campi che daranno grano e ginestre, dalle dimensioni di una nave da crociera, non viene acceso neppure un cerino. In altre parole non è un termovalorizzatore che fa paura agli ambientalisti. Ma torniano nella hall, alla ragazza di Penne e al direttore D’Amico, ingegnere di Montorio al Vomano, con laurea specialistica aquilana in Ambiente e Territorio.

L’arrivo a sorpresa non prende in contropiede l’azienda. Dopo dieci minuti infatti Valentina Di Zio è sul posto. Figlia di Rodolfo, socio di maggioranza e proprietario con i fratelli Ettore e Mario della Deco Spa, Valentina e l’ingegnere si prestano a fare da Beatrice e Virgilio anche se il Tmb non è l’Inferno e neppure il Paradiso. E il viaggio è tra i rifiuti e non tra i peccatori. Ma nella sala congressi al primo piano non vola una mosca, anzi ce n’è una anche se ha vita breve. L’ambiente, incredibile ma vero, è silenzioso, quasi ovattato, come nella sala d’attesa di un medico. Qui arrivano Tir di rifiuti secchi e indifferenziati, del tipo, per intenderci, che a Chieti si getta nei mastelli neri. La prima tappa è la loro triturazione. Ma chi immagina un rumore assordante resta deluso. Né alcun operaio, dei 45 assunti, tutti rigorosamente abruzzesi, viene a contatto diretto con la massa d’immondizia che solo le macchine riducono a pezzi. La scena successiva, visibile da oblò che ricordano sempre di più una nave, è quella di una enorme elettrocalamita che passa sui rifiuti come quegli elicotteri in volo radente di Apocalypse Now, e attrae ferro di ogni tipo. Spuntano persino testate di motori, un estintore, e una cyclette.

Il terzo step si chiama “Vaglio a dischi”, i nostri nonni direbbero “Lu setacc”, separa i materiali grossi (buste, imballaggi, pvc ecc.) da oggetti sotto i 20/25 centimetri. Il primo finisce subito in una vasca d’accumulo; la parte più piccola va invece in un’area di “Trattamento biologico”, disposto in settori alti 6 metri per 21, e lì rimane per 14 giorni sotto un flusso continuo d’aria, a 38/40 gradi, che gli arriva addosso da un mega ventilatore. L’obiettivo è quello di decomporre le sostanze organiche ancora presenti in questa porzione di rifiuti solidi urbani. E dev’essere raggiunto senza che il ventilatore diffonda cattivo odore. L’ingegnere quindi mostra delle lunghe vasche colme di materiale legnoso: biofiltri naturali che purificano l’aria del ventilatore che ha attraversato i rifiuti decomponendone le “sostanze odorigene” come l’H2S (quel classico odore di zolfo) e l’ammoniaca. Ciò che rimane è il “Bioessiccato” che viene riunito al materiale più grande, detto di “Sopravaglio”, per l’ultimissimo trattamento, meccanico e non termico, che consiste nella creazione di Css, combustibile solido secondario, o più semplicemente “ecoballe” con destinazione termovalorizzatori. Oppure, grazie a nuove leggi, messe sul mercato come combustibile alternativo.

L’immagine clou del viaggio nella lavatrice ciclopica la si cattura nella sala di comando: 58 schermi televisivi, due operatori e una vetrata, stile torre di controllo, al di là della quale c’è una distesa di rifiuti, 30 mila tonnellate. Il monitoraggio, con telecamere, è continuo. Così come i controlli Arta e soprattutto di una ditta esterna, milanese e accreditata, che testa i biofiltri degli odori ed i filtri a maniche per l’abbattimento delle polveri. Il Tmb ha l’ok Emas, la massima certificazione europea. Ma cui prodest? Chi e quanto ci guadagna con i rifiuti trasformati in energia? Il guadagno è nelle tariffe: 135 euro a tonnellata di rifiuti (contro i 180 che i comuni pagano altrove). Ma la Deco deve pagare per smaltire le ecoballe. Tirando le somme: il 40 per cento diventa Css, il 2 per cento è rappresentato dal ferro e dall’alluminio recuperati, mentre la frazione organica è ormai decomposta. Ciò che resta, un terzo, è lo scarto che finisce in discarica.

Prima di andare via c’è il tempo per fare un giro in “Papamobile”. Sei posti, elettrica, la minicar impiega 5 minuti per fare il giro del transatlantico. Non ci sono mosche, il ronzio del mega ventilatore è sopportabile.

Qui il viaggio finisce. Ma nel giardino del confinante spiccano cinque lenzuola con scritte di protesta. Se la perfezione non fosse una chimera, non avrebbe tanto successo, diceva Honoré de Balzac.