Da Torino ad Atessa, gli operai migranti"Noi, prestati all'Abruzzo da Marchionne"

3 Aprile 2011

Vita, stipendi, speranze e disillusioni dei lavoratori dell’ex Bertone assunti alla Sevel per tre mesi

ATESSA. La chiamano «boccata d'ossigeno disossidante»: se per la chimica è una contraddizione in termini, per le tasche non produce ruggine bensì ricchezza. Significa riavere un salario dopo 8 anni di cassa integrazione, incassare l'indennità di trasferta di 2mila euro al mese, riproporsi motivati sul mercato del lavoro e lasciare una fetta di reddito in Val di Sangro. I 120 lavoratori della ex Bertone assunti per tre mesi alla Sevel sono quasi un tutt'uno con questo territorio.

Quel marchio prestigioso.
Qui ci sono giovani, meno giovani, coppie e single tra i lavoratori che hanno accettato per tre mesi di trasferirsi da Grugliasco nella fabbrica più grande del centro-sud Italia. Lì, nel Torinese, nei tempi d'oro dello stabilimento fondato da Giovanni Bertone nel lontano 1912, si sfornavano carozzerie per le case automobilistiche più prestigione: Lamborghini, Fiat, Citroen. Il 6 agosto 2009 il ministero dello Sviluppo economico autorizzò la cessione della fabbrica al gruppo Fiat e il 19 novembre successivo la Carrozzeria Bertone abbandonò completamente la produzione in serie di automobili, anche se il marchio è rimasto di proprietà della famiglia. Oggi la Fiat ha presentato un piano industriale che prevede investimenti sulla ex Bertone per 500 milioni, la produzione di 50mila auto l'anno, in primis la nuova Maserati, la possibilità di utilizzare 1.100 lavoratori con l'indotto che sarà trainato dall'azienda madre. Nei piani di Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, c'è anche l'integrazione con la Chrysler per la produzione di alcuni modelli di auto dell'azienda americana. Nel frattempo 120 volontari, da anni in cassa integrazione, hanno scelto, dietro invito della Fiat, di lavorare per tre mesi nella Sevel. Prendono in media 1.350 euro al mese contro i 900 della cassa integrazione. Ma prendono anche 2mila euro di indennità di trasferta per vitto e alloggio che in parte spendono in Val di Sangro. Dunque denaro che in parte resta qui.

La mamma in distacco.
Ha 36 anni, Barbara De Michelis, è nata a Torino da genitori autoctoni, ed è sposata con un operaio anche lui ex Bertone. Ha due figlie di 8 e 15 anni. E' iscritta alla Fismic. Da due mesi è alla Sevel nel reparto lastratura. A Paglieta divide con una collega un alloggio con due camerette e una cucina. Costo: 460 euro al mese. Nel tempo libero, passeggiata sulla costa frentana e visita nei centri vicini. «L'esperienza Sevel è bellissima», racconta, «con gente cordiale. La prima settimana è stata faticosa, dopo 8 anni di fermo. Poi tutto è filato via tranquillo e oggi mi sento a mio agio. Qui finiamo il 28 luglio ma se scatta la proroga non accetto perché le bambine mi cercano di continuo e non mi va di lasciarle sole per altri mesi. Ecco, se non fosse che sono una donna firmerei tranquillamente». Racconta che l'altro giorno da Torino si è presa una buona dose di insulti per avere raccolto nella Sevel, come operaia e non come iscritta alla Fimsic, una metà di firme degli ex Bertone pro-appello "Vogliamo lavorare", slogan appeso ai cancelli della fabbrica di Grugliasco. «C'è gente disposta a lavorare e diamogli questo diritto», spiega.

L'attivista della Fiom.
Fa parte della Rsu della ex Bertone, alla Sevel lavora al montaggio, ha 45 anni, e chiede di restare anonimo. E' nato in Puglia, è sposato e ha due figli, il papà era dipendente Fiat. Con lui c'è anche un parente stretto nella casa di Atessa. Entrambi sono fabbrica, casa e sindacato. Divertimenti zero. «Da due anni in cassa integrazione a Torino», dice, «ho trovato qui ritmi impressionanti. E poi dicono al Nord che al Sud non si lavora! Altroché: qui c'è da farsi un c... così. Faccio i complimenti agli operai Sevel: il loro lavoro è con la l maiuscola. L'assenteismo in fabbrica è elevato? Forse è per i carichi di lavoro pesanti. Io sono stanchissimo quando torno a casa. Ho conosciuto tanti giovani rassegnati», sottinea, «che malgrado si diano da fare, restano sempre ai livelli bassi. Nel sistema Fiat vogliono equiparare i livelli e non cercano di creare professionalità: in sostanza diventi un numero e basta e ti appiattiscono. Nell'ex Bertone, invece, c'è più partecipazione alla creazione del prodotto, non so se per una questione di auto di lusso da realizzare».

I fidanzati.
Vengono da Collegno, lavorano entrambi al montaggio, hanno preso casa a Piazzano di Atessa, spendono 100 euro a settimana solo di vitto e 400 di affitto più i servizi. Lei, F.D.B., 30 anni, nata a Torino da padre siciliano ex dipendente Bertone e madre pugliese, iscritta alla Fim-Cisl, in cassa integrazione da cinque anni, ha già detto che nonostante l'ambiente sia dei migliori, difficilmente firmerà per la proroga. Lui, M.V., 38 anni, genitori calabresi già dipendenti Fiat, invece, un altro periodo nella Sevel lo farebbe molto volentieri. «Il mio ragazzo voleva venire qui e alla fine mi sono convinta anch'io. Non è facile stare lontani da casa 700 chilometri. Non abbiamo tanto tempo per andare in giro», dice la giovane, «ma qui ci sono posti meravigliosi e poi si mangia bene. In fabbrica i rapporti con i colleghi sono normali anche se all'inizio c'è stato qualche mugugno verso di noi, ma ci facciamo i fatti nostri. Ecco, si corre con ritmi forti: la Sevel è almeno tre volte la ex Bertone». «Mi trovo bene qui più della mia ragazza», spiega M.V., «e per questo vorrei restare qualche altro mese, ma vediamo prima le condizioni dell'eventuale proroga del contratto. La gente del posto è deliziosa: mi sono ambientato subito. La padrona di casa spesso ci delizia con i biscotti: li fa squisiti. Quando possiamo facciamo anche ricorso ai turni straordinari per guadagnare qualcosa in più e poter andare così a mangiare qualcosa fuori».

Il coniugato senza figli.
Ha 34 anni, è nato a Torino da padre pugliese e madre calabrese, è iscritto alla Uilm e lavora nel reparto logistica insieme con una decina di colleghi della ex Bertone. Si è trasferito in Val di Sangro portando con sé la moglie. «Qui mi trovo bene e l'accoglienza è stata buona. L'esperienza nella Sevel ci permetterà di mettere da parte qualche soldo: la terrò con me per un pezzo», dice, «visto che questa azienda è all'avanguardia e quanti ho incontrato nella mega-fabbrica si sono mostrati disponibili e cordiali. Ecco, sono ad Atessa con la speranza di avere un futuro garantito. Avere accettato questa trasferta a tanti chilometri di distanza da casa la vedo in positivo nell'ottica di una ricollocazione al lavoro nella ex Bertone. Ho lavorato in distacco in altre aziende del gruppo Fiat per un mese almeno per un anno e mezzo: da Pininfarina alla Ricambi di Torino. E adesso sono anche orgoglioso di avere firmato un appello tra gli ex Bertone in Sevel: vogliamo che l'azienza torinese torni a lavorare».

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