Il dramma di Catherine: «Divisa dai bimbi, è un incubo. Loro sono tristi ma resto forte»

La madre in un’intervista esclusiva: «Possiamo stare insieme pochi minuti. Non li traumatizzerò mandandoli a scuola. Non mi fido più dei servizi sociali»
VASTO. La luce del mattino, in questa casa famiglia di Vasto, non ha i colori del bosco. Non filtra attraverso le foglie degli alberi di Palmoli, non porta con sé i suoni degli animali o il crepitio della legna nella stufa. È una luce asettica, istituzionale, che illumina una realtà nuova e dolorosa: quella di una madre separata dai suoi figli, pur stando sotto lo stesso tetto. Catherine Birmingham, 45 anni, australiana, è la donna al centro della tempesta perfetta che ha travolto la sua famiglia. Fino a ieri era la custode di un’utopia, la madre che insegnava ai figli a leggere nella natura, lontano dalle scuole e dalle convenzioni. Oggi è un’ospite, per così dire vigilata, in una casa famiglia, l’unico legame rimasto a tre bambini – la figlia di otto anni e i due gemelli di sei – strappati alla loro vita precedente da un’ordinanza del tribunale per i minorenni.
Parliamo con lei poche ore dopo il trauma del distacco. Il suo italiano è incerto, mescolato all’inglese, ma la sua determinazione è d’acciaio. Non c’è rassegnazione nelle sue parole, solo una tristezza profonda che cerca di trasformarsi in forza. Catherine ha scelto di non abbandonare i suoi figli, di accettare le regole imposte dai giudici pur di restare lì, a pochi metri da loro. Anche se quei pochi metri, la notte scorsa, sono sembrati un abisso. Il provvedimento di giovedì ha decretato la fine della favola di Palmoli, giudicando la casa nel bosco «insalubre» e l’isolamento della famiglia un «grave pregiudizio». Ma, per Catherine, quell’ordinanza è un errore, un’ingiustizia che non riesce a comprendere.
Catherine, come sta in questo momento?
«Sono triste. Profondamente triste. Ma cerco di rimanere concentrata, perché devo esserlo per i miei bambini. Sono qui, ma non c’è la possibilità di dormire con loro. Di fatto, siamo separati».
Come è andata questa prima notte? Quanto tempo avete potuto trascorrere insieme?
«Li ho visti solo ieri sera, prima che andassero a dormire. E poi anche stamattina, sono scesa e l’operatrice mi ha detto: “Per favore, vada di sopra”. Ho potuto fare colazione con i bambini, ma solo questo. Le persone qui sono molto buone, gentili, ma devono rispettare l’ordine del giudice. E il giudice ha detto che non posso passare del tempo liberamente con i miei figli».
Come stanno reagendo i bambini? Hanno capito cosa sta succedendo?
«Sì, certo. È impossibile che non lo sappiano. Hanno capito la situazione, sanno tutto. Vogliono tornare a casa, questo è sicuro. Ma rimangono forti perché c’è la mamma. Sanno che la mamma è ancora qui con loro».
I suoi figli sono tristi?
«Non sono solo tristi, sono anche molto ansiosi. È incredibile, non sono più calmi. Sono agitati, eccitati, iperattivi. È come se stessero scappando dai loro sentimenti, dal dolore, diventando euforici. È la reazione a tanta ansia. Ma sotto quell’agitazione, tutti e tre sono profondamente tristi».
Ci racconti della giornata di ieri. Vi aspettavate l’arrivo dei carabinieri?
«No, assolutamente no. È stato uno choc totale. Non potevo immaginare che una famiglia con tre bambini felici, sani e bellissimi potesse ricevere questo trattamento. L’avvocato è arrivato a casa nostra alle tre del pomeriggio e ci ha detto che il giudice aveva deciso di toglierci i bambini. Subito dopo lui e Nathan hanno raggiunto il Comune per parlare con il sindaco, ma gli hanno detto di andare dai carabinieri. Quando sono arrivata lì, era pieno di militari. Tanti in divisa e tanti in borghese, vestiti normali. Il mio avvocato ha discusso per quasi un’ora per ottenere che almeno io potessi restare con i figli».
E il momento del distacco dalla casa?
«È stato tutto troppo veloce. Nathan e io non abbiamo avuto tempo. I bambini non hanno nemmeno potuto salutare gli animali. Abbiamo dovuto portarli fuori subito. La situazione ci è crollata addosso con una rapidità spaventosa».
È rimasta lì con loro stanotte, ma non ha potuto dormirci. È così?
«Sì. I figli sicuramente volevano che io restassi lì, accanto a loro. Ma ho dovuto dire: “No, non è possibile, la mamma deve andare di sopra. Ma arrivo domani mattina, non preoccupatevi”».
È riuscita a riposarsi?
«Non ho chiuso occhio. E stamattina sono scesa subito, ma mi hanno detto che potevo solo salutarli e poi dovevo andare via».
Lei come ha reagito?
«È uno dei peggiori incubi che una madre possa mai avere. Che ti tolgano i bambini. Che i tuoi figli vengano rapiti da te... o che muoiano. La cosa più brutta è se muoiono, certo. Ma questo è terribile. Però sono la mamma, è importante che io rimanga forte e concentrata per loro».
Lei continua a parlare di ingiustizia. Quale ragione si è data per questo intervento così drastico?
«Io ancora non lo so. Non lo capisco. Perché non abbiamo fatto nulla di male. Non abbiamo violato la legge italiana, viviamo sotto la legge naturale e i diritti costituzionali. I nostri bambini fanno educazione parentale, come previsto dalla legge. Viviamo in pace con la natura, non siamo criminali. I bambini sono felici, sono cresciuti bene. Perché siamo trattati così? Non riesco a capirlo».
Il tribunale sostiene che i bambini vivano isolati, senza rapporti con i coetanei. È questo il punto centrale.
«Non è la verità. I nostri figli hanno relazioni con altri bambini. Ma noi, come genitori, abbiamo la responsabilità della loro sicurezza. Noi scegliamo con chi far socializzare i nostri figli. Oggi il mondo è un po’ pericoloso, anche per le giovani generazioni, con i social media e tutto il resto. Noi abbiamo fatto una scelta consapevole: farli socializzare con bambini e adulti che condividono i nostri valori. Non sono isolati. Certo, in inverno magari un po’ di più, ma non isolati. Usciamo ogni settimana, andiamo nei parchi, nei negozi, dagli amici».
E le condizioni della casa? Le relazioni parlano di un rudere pericoloso.
«Non è vero. Abbiamo fatto una perizia statica, la casa è stabile, è sicura. C’è caldo, c’è la stufa, c’è l’acqua calda. I bambini non sono sporchi. Fanno il bagno tutti i giorni, curiamo i loro capelli, i loro denti. Mangiano benissimo, sono cresciuti in modo fantastico. Che male abbiamo fatto? Dicono che non c’è elettricità, ma la nostra è una scelta. Abbiamo tutto quello che serve».
C’è qualcosa di cui si è pentita? Tornando indietro, rifarebbe tutto allo stesso modo?
«Penso che sarei stata più forte all’inizio. Avrei preso un avvocato fin dal principio. Invece ho ascoltato il Comune, che ci diceva di fare solo quello che dicevano i servizi sociali per risolvere il problema. È stato come essere bullizzati. Sarei stata più forte. Se avessimo avuto un avvocato dalla nostra parte fin dall’inizio, penso che avremmo potuto agire subito. Non mi fido più dei servizi sociali».
Se ora le chiedessero di mandare i ragazzi a scuola o cambiare casa per riaverli, lo farebbe?
«No. Sicuramente non traumatizzerò i miei bambini forzandoli ad andare a scuola se non vogliono. La legge non ci obbliga. Quanto alla casa, abbiamo costruito una stanza fuori con bagno secco e doccia, anche quello rientra nei nostri diritti. Sono stati tutti violati. È una grande ingiustizia».
Se potesse parlare adesso con il giudice che ha firmato il decreto, cosa gli direbbe?
«Gli chiederei: come puoi emettere una sentenza ingiusta, che dovrebbe essere per la giustizia? E se amassi davvero i bambini... li lasceresti con le loro famiglie che li amano e si prendono cura di loro. Solo questo. Non posso dire di più perché è pericoloso per la nostra situazione».
Cosa farà adesso?
«Resto qui. Perché io non lascio i miei bimbi. Sarei libera di andare via, sono a posto con la legge, ma non voglio. Voglio rimanere qui. Io sono sopra in un appartamento, i bimbi sono giù, in un’altra parte. Ma ogni tanto posso vederli. E questo è tutto quello che conta».
A questo punto Catherine saluta. Deve andare. Nathan sta arrivando per portare i vestiti, e lei deve uscire per prendere le cose. In questa struttura di Vasto, dove le regole hanno sostituito la libertà del bosco, una madre cerca di ricostruire, minuto dopo minuto, un filo di normalità per i suoi tre figli, aggrappata alla speranza che questo incubo finisca presto.
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