La ’ndrangheta in Abruzzo: quattro arresti nel Vastese

Sgominato dai carabinieri il clan Ferrazzo: 25 in manette e 150 indagati. C’è anche un commerciante di auto di San Salvo

SAN SALVO. Un anno fa la condanna in appello a 6 anni di reclusione e il carcere per Eugenio Ferrazzo, 38 anni. La ’ndrangheta però non si è arresa. Voleva mettere le radici in Abruzzo, considerata rispetto ad altre realtà una sorta di “isola felice” e allungare i tentacoli criminali usando lo spaccio di droga per finanziare altre attività lecite e illecite. Ci ha provato affiliando piccoli pesci. L’affiliazione avveniva con un giuramento davanti ad immagini sacre, in perfetto stile mafioso. La piazza non era quella siciliana ma San Salvo, altra isola felice. Per questo l’operazione dei carabinieri scattata ieri mattina all’alba è stata denominata “Isola felice”. Trenta i militari impegnati. Su 25 custodie cautelari, di cui 14 in carcere, 3 riguardano il Vastese con le manette scattate ai polsi di Alessandro Contino, commerciante di Vasto; Giuseppe Di Donato, residente a Vasto e concessionario di auto a San Salvo; e Mirko De Notaris, arrestato già nel 2012 in Lombardia insieme a Ferrazzo.

Il precedente. Il provvedimento cautelare, emesso dal gip del tribunale di Milano, Banci Buonamici, anche nel 2012 aveva individuato l’esistenza di un sodalizio criminale dedito all’importazione di ingenti quantitativi di stupefacenti - marijuana, hashish e cocaina - e di armi comuni da sparo e da guerra, con relative munizioni, destinate al clan di stampo ’ndranghetistico originario di Mesoraca riconducibile alla famiglia di Felice Ferrazzo.

Le estorsioni. Oltre ai tre arrestati è finita ai domiciliari la compagna di Di Donato, Olesia Molcanova, insospettabile, commerciante di auto. A difendere gli arrestati sono gli avvocati Elisa Pastorelli, Massimiliano Baccalà e Alessandro Orlando. Sono 149 gli indagati in sei regioni: Abruzzo, Molise, Calabria, Lazio, Marche e Sicilia per associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti e di armi, estorsione, riciclaggio. Ancora una volta il Vastese si è rivelato una zona appettibile, un importante snodo di sostanze stupefacenti, nonchè filiera importante collegata a Sudamerica e Olanda. «Il mosaico è stato ricomposto grazie a tre collaboratori di giustizia che ci hanno aiutato anche a comprendere le intercettazioni ambientali e telematiche», hanno spiegato il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti e la collega Antonietta Picardi. Il clan Ferrazzo che da anni aveva messo le sue radici nel Vastese e nel vicino Molise gestiva il traffico di droga per sostenere l’acquisto di armi e reimpiegare il denaro in attività già esistenti o nuove attraverso prestanomi. Le armi venivano acquistate nel Foggiano, in ambienti malavitosi già conosciuti dalla Dna, ma anche dalla Svizzera. Il magistrato ha evidenziato anche «legami con mafia, camorra e sacra corona unita». C’erano capi e luogotenenti. Fondamentale, per la Picardi, il rapporto con alcuni imprenditori edili che erano a disposizione del clan per attività illecite e mettevano a disposizione locali per nascondere armi e droga.

Le intercettazioni. Le indagini hanno individuato due locali di ristorazione a Termoli a disposizione della famiglia Ferrazzo. I magistrati di Campobasso che da 6 anni hanno avviato una collaborazione investigativa con la Procura dell’Aquila grazie a una serie di intercettazioni ambientali effettuate nel carcere di Campobasso, riguardanti proprio Eugenio Ferrazzo, hanno raccolto importanti elementi di prova sui reati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Il fulcro dell’indagine si è perciò spostato a San Salvo e seguito passo passo dai magistrati aquilani. Secondo gli inquirenti il clan dei Ferrazzo si sarebbe avvalso della sconfitta del clan di Lorenzo Cozzolino (divenuto nel frattempo collaboratore di giustizia e fulcro delle operazioni Tramonto e Adriatico) per estendere la propria rete di contatti malavitosi nel Vastese.

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