Mistero D’Alò, domani il gip decide se archiviare

Il teatino è scomparso sedici anni fa, secondo i famigliari è stato ucciso Il legale si oppone alla decisione della procura e chiede di riaprire le indagini

CHIETI. Maurizo D’Alò è scomparso nel nulla 16 anni fa. Per i parenti è stato ucciso, per la procura, invece, si tratta di un allontanamento volontario che potrebbe essere sfociato in un tragico gesto estremo. Così, il 13 giugno scorso, il pm Marika Ponziani, ha chiesto di archiviare il caso. Immediata la contromossa dei parenti che si sono opposti al procedimenti. E lo hanno fatto con il patrocinio dell’avvocato Mario Del Monaco. Un atto di cento pagine zeppo di interrogativi che riguardano la misteriosa scomparsa dell’uomo, dipendente della Dayco e che all’epoca dei fatti aveva poco più di 40 anni.

Ago della bilancia in questa vicenda umana e giudiziaria dai contorni molto sfocati sarà il gip Luca De Ninis che domani deciderà se archiviare il caso, come richiesto dal pm, o accogliere l’istanza di opposizione presentata dall’avvocato Del Monaco con la conseguente riapertura delle indagini.

«I genitori dello scomparso, ormai ultra ottantenni e la sorella Catia, sono fiduciosi. La convinzione che Maurizio sia stato ucciso è per loro una certezza. Quello che chiedono» aggiunge l’avvocato «è che la giustizia li aiuti a fare piena luce sulla dolorosa vicenda e soprattutto di aiutarli ad individuare un luogo fisico dove poter piangere il proprio caro». L’asse sul quale ruota la richiesta del legale, invece, è rappresentato da un lungo elenco di testimoni che, a giudizio di Del Monaco, sarebbero stati ignorati o liquidati con troppa fretta dagli inquirenti. «Proprio questo pomeriggio (ieri per chi legge) ho depositato nella cancelleria del gip una ulteriore memoria difensiva nella quale si fa menzione, per la seconda volta, di due testimoni. Il primo ha affermato che “oramai Maurizio è terra per i ceci”, l’altro ha asserito che il D’Alò è stato ucciso e sepolto sotto un pilastro di cemento”. Affermazioni gravi riportate nella nostra querela, la cui attendibilità, però, non è stata mai accertata». L’inchiesta sulla sparizione di Maurizio D’Alò era stata riaperta a seguito di una querela dei parenti contro ignoti, per presunto omicidio e occultamento del cadavere. Documento depositato lo scorso marzo. Ma le indagini ritenute «troppo sbrigative» dal legale della parte offesa vennero chiuse dopo appena 83 giorni e con la variazione della notizia di reato da omicidio a istigazione al suicidio. «Indagini lacunose» insiste Del Monaco «poggiate su poche testimonianze, basate su temi generici e non su quelli circostanziati nella nostra querela». E ancora: «Gli inquirenti si sono totalmente disinteressati dal verificare i nominativi e le causali dei beneficiari degli assegni firmati dal D'Alò che avevano ridotto a zero la sua consistente buonuscita dalla Dayco in quanto poco prima della scomparsa aveva un ultimo saldo sul proprio conto Unicredit di sole 79.834 vecchie lire, che al contrario di quanto supposto dagli odierni inquirenti non gli avrebbe sicuramente permesso una vita agiata». Altro enigma senza riscontri riguarda le motivazioni per le quali D’Alò avesse regalato la più che considerevole somma di 90 milioni di lire alla moglie, dato che all'epoca della sua scomparsa non aveva più nessuna «comunanza di intenti e sentimentali con lei» pur abitando sotto lo stesso tetto. Domande che potrebbero trovare risposta qualora il gip De Ninis decidesse di riaprire le indagini.

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