CHIETI

Muore di Covid in ospedale, gli rubano la fede e l’anello d’oro 

La vittima è un 67enne, la figlia presenta la denuncia. Il dolore della moglie: «Neanche un ricordo dopo 42 anni di matrimonio». Ora indagano i carabinieri

CHIETI. Pietro Tarquini, 67 anni, malato di Covid, dopo 26 giorni di ricovero, muore nel policlinico di Chieti sabato scorso. Sua moglie Marilena, compagna di una vita, è bloccata nella loro casa. Stavano insieme da quando erano ragazzini. S’è ammalata anche lei di coronavirus e, senza poter vedere le figlie per il rischio di contagio, da sola, ha dovuto ascoltare le notizie sulla salute di suo marito, e s’è immaginata l’insostenibile percorso del trapasso del signor Pietro in solitudine, lo strazio della sua lotta per respirare, con la testa avvolta dal casco per l’ossigeno, fino a quando le hanno detto che se ne era andato. E poi ha aspettato, con ansia sommata al dolore, che dall’ospedale Santissima Annunziata le restituissero ciò che il linguaggio della burocrazia definisce «effetti personali»: su tutti, la fede nuziale e un anello in oro giallo con incastonato uno zircone bianco. E invece di suo marito, dopo 42 anni di matrimonio, le hanno restituito solo il cellulare, il caricabatteria e il portafoglio, peraltro senza i 30 euro che c’erano all’interno al momento del ricovero.

Dei gioielli, nessuna traccia. Scomparsi. O meglio, rubati dagli sciacalli. Perché ai tempi della pandemia, dove in tanti, anziani soprattutto, si spengono in ospedale senza neppure poter avere il conforto dei loro cari, sembra che continui a esserci chi non ha pietà e approfitta persino di una situazione del genere per mettere le mani sui pochi beni delle vittime, i pochi ricordi per i loro familiari già colpiti dal lutto.

Martedì mattina Manuela, una delle figlie di Pietro, ha deciso di denunciare tutto ai carabinieri della stazione di Chieti Scalo e girare una segnalazione anche al Tribunale del malato. «No, quello che è accaduto non è giusto», racconta la donna, «non possiamo passarci sopra. È un gesto intollerabile, spregevole, che fa rabbia. Il valore economico dei due gioielli non ci interessa. Ma quello affettivo sì. E mia madre è stata costretta a subire anche questo insulto. Mi sembra ancora di vivere un incubo». Un incubo cominciato a metà febbraio. «All’inizio papà aveva solo qualche colpo di tosse. Ma non gli è stato dato troppo peso, anche perché lui diceva di sentirsi in forma.

L’aggravamento c’è stato domenica 14, quando sia lui che mia madre hanno cominciato a sentirsi male. Il giorno successivo, considerando un ulteriore peggioramento, sono stata io a telefonare al 118. Mamma è potuta restare a casa, perché la saturazione era buona, mentre per papà è stato necessario il ricovero in ospedale. Quando è salito sull’ambulanza, oltre ai vestiti, gli abbiamo dato il portafoglio con all’interno i documenti e 30 euro. Da quel momento, non l’abbiamo più visto». Un piccolo segnale di speranza, stando alle comunicazioni date alla famiglia, c’era stato venerdì scorso. «Sembrava che i polmoni stessero ripartendo. Avevo rincuorato un po’ anche mia madre. E invece, nel giro di poche ore, papà si è aggravato per una sovrainfezione batterica, almeno così mi hanno detto dall’ospedale. Purtroppo non ce l’ha fatta». Allo strazio immenso per la perdita di Pietro, dipendente della cartiera Burgo in pensione, si è aggiunto altro dolore. «Siamo andati in ospedale», prosegue Roberta, «e ci hanno riconsegnato gli effetti personali. In quel momento, ci siamo accorti che mancavano 30 euro dal portafoglio e, soprattutto, i due anelli: la fede nuziale, con all’interno il nome di mia madre e la data del loro matrimonio, ovvero 29 aprile 1979, e un altro anello sempre in oro giallo». Manuela non si è arresa: «Quando l’ho fatto notare al personale sanitario, mi è stato detto che non erano in grado di fornirmi una risposta e di chiedere alla Pneumologia, dov’erano i vestiti di mio padre, o alla Terapia intensiva. Ma in entrambi i reparti, da me contattati, non c’era nulla».
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