Nuovi schiavi nei campi: bracciante perde la vista a Torino di Sangro, imprenditore sott’accusa

Il pm: «Li sfruttava e sottopagava». La procura chiede il processo. I lavoratori, costretti a orari massacranti, vivevano nel degrado in una casa fatiscente per la quale dovevano versare anche l’affitto
TORINO DI SANGRO. A volte basta un filo di ferro per cambiare un destino. Uno di quelli che si usano nei vigneti e che, nelle campagne di Torino di Sangro, è diventato lo strumento involontario di un dramma e il simbolo di un’inchiesta per caporalato della procura di Vasto. L’indagine ha acceso i riflettori su una presunta storia di sfruttamento sistematico in un’azienda agricola contoterzista, portando alla richiesta di processo per un imprenditore 54enne del posto. Secondo gli inquirenti, ha orchestrato un meccanismo di abusi ai danni di quattro operai nigeriani, culminato nell’incidente che ha quasi completamente tolto la vista a uno di loro, 44 anni.
In base all’ipotesi accusatoria, i braccianti in questione – il più giovane di 32 anni – sono stati reclutati e impiegati approfittando del loro stato di bisogno e della loro condizione di «particolare vulnerabilità economica e sociale». Un lavoro massacrante tra le vigne e gli uliveti con orari estenuanti che andavano dalle sette del mattino fino al tardo pomeriggio, per una paga che gli inquirenti definiscono «palesemente difforme» rispetto agli importi stabiliti dal contratto collettivo nazionale e, in ogni caso, «non proporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato». Nei terreni agricoli venivano portati con un furgone Fiat Ducato. Un trattamento economico che la procura, applicando l’articolo 603 bis del codice penale (la norma che punisce l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro), ritiene sintomatico di un deliberato approfittamento. Le cifre messe nero su bianco nelle carte sono emblematiche: se per alcuni la retribuzione era di 50 euro al giorno, per altri si fermava ad appena 350 euro al mese.
A questa presunta sperequazione economica si aggiungevano condizioni di vita «degradanti», al limite della dignità umana. L’accusa contesta all’imprenditore di aver procurato ai lavoratori «un’abitazione fatiscente, in pessime condizioni igienico-sanitarie, priva di servizi igienici idonei». Una sistemazione precaria per la quale, secondo le carte, al quarantaquattrenne veniva persino addebitato un canone di locazione di 200 euro mensili, che lui versava direttamente nelle mani dell’imprenditore agricolo. Un quadro aggravato, per la procura, dal fatto di aver reclutato più di tre lavoratori e di averli esposti a una situazione di pericolo costante.
È in questo contesto di presunta e sistematica incuria che, il 3 ottobre 2023, si è consumato il dramma. Tra i vigneti, durante i lavori di potatura, il bracciante di 44 anni è rimasto vittima di un grave infortunio, colpito al volto da un filo di ferro. Un incidente che, sostiene il pm, configura il reato di lesioni personali colpose aggravate. La diagnosi parla di una malattia con una prognosi superiore ai 40 giorni, che ha causato un «indebolimento permanente dell’occhio destro e del senso della vista», rendendo necessario un «trapianto di cornea».
L’elenco delle presunte inadempienze in materia di sicurezza, così come ricostruito dagli inquirenti, è lungo e sistematico. A Primavera, in qualità di datore di lavoro, sono contestate innumerevoli violazioni del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro. A mancare, prima di tutto, è il pilastro di ogni politica di prevenzione: il Documento di valutazione dei genitori rischi (Dvr). A cascata è venuta meno la sorveglianza sanitaria, con l’omessa nomina di un medico competente. Assente anche ogni forma di informazione sui rischi specifici legati alle mansioni agricole, così come la fondamentale formazione per operare in sicurezza. L’elenco si chiude con la mancata indicazione di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp) e la carente fornitura dei più basilari dispositivi di protezione individuale, come calzature antinfortunistiche e occhiali protettivi, lasciando i lavoratori inermi di fronte ai pericoli.
Le contestazioni si estendono anche alla gestione della manodopera, in violazione del Testo unico sull’immigrazione. L’imprenditore e una seconda indagata, una donna di 62 anni, devono rispondere di aver favorito la permanenza illegale in Italia di uno dei quattro lavoratori nigeriani, fornendogli l’alloggio descritto. All’imprenditore, inoltre, viene contestato l’impiego dello stesso operaio, privo del permesso di soggiorno e la cui istanza di riconoscimento dello status di rifugiato era stata dichiarata inammissibile.
Sulla base delle prove raccolte attraverso le indagini dei carabinieri del nucleo ispettorato del lavoro di Chieti e della stazione di Torino di Sangro, il procuratore capo Domenico Angelo Raffaele Seccia e il sostituto Vincenzo Chirico hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio. Gli imputati, difesi dagli avvocati Vincenzo Del Re e Roberto Ceroli, dovranno ora affrontare l’udienza preliminare, fissata in tribunale a Vasto per il prossimo 16 ottobre. In quella sede, il giudice Fabrizio Pasquale dovrà valutare se gli elementi raccolti dalla procura siano idonei a sostenere l’accusa in giudizio e, di conseguenza, disporre il processo. L’operaio rimasto gravemente ferito si costituirà parte civile attraverso l’avvocato Alessandro Mascitelli. La vigna dava i suoi frutti. Ma il raccolto più amaro è stato quello della disperazione dei nuovi schiavi.
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