«Potrei assumere ma le banche lo vietano»

Mozzagrogna, lo sfogo di un imprenditore: gli istituti di credito non incentivano la ripresa

MOZZAGROGNA. Ci sono i clienti, ci sono i prodotti, c’è il mercato e potrebbero arrivare anche nuove assunzioni. Ma mancano i soldi e manca l’aiuto delle banche che dovrebbero soltanto anticipare il denaro e che, invece, si chiudono a riccio.

È questo il quadro descritto da Sergio Blasi, socio con sua moglie della Sat sas, ditta artigiana con buoni potenziali e circa 800mila euro di fatturato l’anno. Blasi, 45 anni, ha già all’attivo una solida esperienza imprenditoriale. L’avventura della Sat, che realizza lavorazioni meccaniche di precisione ed esegue progettazioni di prodotti destinati all’automotive, al settore militare, areonautico ed eolico, è iniziata nel 2002. Non è partito a caso. Il settore aeronautico, dove la Sat sta investendo, è quello destinato a rimpiazzare nei prossimi anni i numeri dell’automotive. «Si calcola che da qui al 2020 dovranno essere costruiti 350mila aeroplani civili», spiega Blasi, «inoltre i settori militare e aeronautico sono in forte espansione: Finmeccanica ha appena siglato un ordinativo record di 250 aerei Atr».

La coppia di imprenditori ha calcolato anche un discreto margine di diversificazione dell’offerta puntando ad esempio anche sull’eolico, «uno dei settori trainanti del futuro», secondo le ricerche dei giovani manager.

Ma non tutto va nel verso giusto. «Le banche», spiega l’imprenditore, «inventano scuse su scuse e pongono mille paletti per l’accesso al credito. Io ho bisogno di scontare le fatture, di acquistare energia, di pagare i dipendenti: da qualche mese invece ricevo solo porte in faccia, le banche abbassano le percentuali di rischio e impongono mille cavilli burocratici, tutte con la stessa politica, dai grossi istituti di credito fino alle banche locali».

La Sat, partita con 14 dipendenti, oggi ne impiega dieci. «Ci sarebbero le condizioni per assumere», spiega Blasi, «perché il lavoro c’è e anche i clienti, ma mancano i soldi. È una situazione drammatica: le imprese che hanno difficoltà chiudono, ma sono costrette a farlo anche quelle dove c’è lavoro. Mi sento solo», si sfoga l’imprenditore, «non ci sono associazioni di categoria in grado di proteggere i piccoli imprenditori perché l’ultima parola spetta sempre alla banca: per loro siamo un numero come tanti, io invece vorrei tentare di salvare il lavoro di 10 famiglie. Invece di fare ricerca su nuovi prodotti passo giorni e giorni dietro la burocrazia delle banche, è frustrante e umiliante, non è così che si incentiva la ripresa».

Daria De Laurentiis

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