l'olocausto

Quei 14 ebrei diventati martiri di Castel Frentano

Il giorno della memoria rivissuto nel paese che ospitò i Nagler e le altre famiglie rastrellate dalle SS a novembre del 1943 e uccise nelle camere a gas di Auschwitz

CASTEL FRENTANO. È il corridoio dell’attuale Comune quello nel quale, 73 anni fa, riecheggiarono i bruschi comandi delle SS. Sono quelle stesse finestre a essere state penetrate da occhi terrorizzati, ignari della sorte che si stava dipanando. Da quell’edificio, i “portici”, che fino a una decina di anni fa ha ospitato le scuole del paese, partirono gli internati ebrei per il martirio di Auschwitz: Silvio Berl, Joseph Fiedler, Artur Fuerst e Betty Abrahamson, Isacco Harmik, Samuele Grauer, Rosa Jordan, Marco e Tito, loro figli, Syrkus Paul e sua moglie Olga Hoffmann, Salo Nagler, Eige Fitzer, e Giacomo, loro figlio. Quattordici martiri.

CAMPI D’INTERNAMENTO. Dopo l’entrata in guerra, in virtù delle precedenti leggi razziali, in Italia furono istituiti i campi d’internamento divisi in internamento rigido, per chi era ritenuto pericoloso; internamento libero destinato agli elementi meno pericolosi; per i sospettati di spionaggio era previsto il confino nelle isole Favignana, Lampedusa, Lipari, Ponza, Ventotene, Tremiti e Ustica.

Questi quelli in provincia di Chieti: Casalbordino, fabbricato di Germano Sanese, 350 posti; Casoli, ex scuola comunale 30 posti, e locali di Vincenzo Tilli, 100 posti; Chieti, asilo Principessa di Piemonte, del comune, 350 posti; Fossacesia, fabbricato dei coniugi Majer e Gilda Lotti, 100 posti; Francavilla al Mare, palazzina di Giuseppe Gallo, 100 posti; Lama dei Peligni, fabbricato del Banco di Napoli, 100 posti e fabbricato della vedova Camilla Borrelli, 150 posti; Lanciano, palazzina in contrada Cappuccini, dell’avvocato Filippo Sorge, 100 posti; Miglianico, fabbricato dei fratelli Tomei, 120 posti; Tollo fabbricato di Giuseppe Foppa Pedretti, 250 posti; Vasto fabbricato dell’avvocato Oreste Ricci, 300 posti e fabbricato degli eredi Marchesani, 180 posti.

Per quanto riguarda le località d’internamento libero, nella provincia di Chieti furono: Archi, Atessa, Bomba, Bucchianico, Carunchio, Casalbordino, Castel Frentano, Castiglione Messer Marino, Celenza sul Trigno, Cupello, Fara Filiorum Petri, Fresagrandinaria, Gissi, Guardiagrele, Lanciano, Montazzoli, Orsogna, Palena, Paglieta, Quadri, Rapino, Ripa Teatina, Roccaspinalveti, San Buono, Scerni, Torricella Peligna, Villamagna e Villa Santa Maria.

IL RASTRELLAMENTO. Le truppe tedesche entrarono a Castel Frentano verso la metà di settembre del 1943 e presero alloggio in villa Lanza, sul colle del Capoziello.

Ai primi di novembre le famigerate SS effettuarono un rastrellamento degli ebrei internati. I battiti cupi sui portoni delle case riecheggiavano lugubri nei vichi del paese. Uomini, donne e alcuni bambini furono portati prima nelle scuole elementari e quindi alla fornace di Crocetta da dove furono trasferiti a L’Aquila.

Da qui, il 13 gennaio del 1944, furono trasportati a Bagno a Ripoli. Il 26 gennaio gli internati furono prelevati dal locale comando germanico e trasferiti al carcere di San Vittore a Milano da dove, il 30 gennaio, furono trasportati con camion telati fino ai sotterranei della stazione centrale.

Lo stesso giorno partì dal “binario 21” un treno carico di 605 deportati (tra di loro vi erano più di 40 bambini) che arrivò ad Auschwitz dopo sette giorni di viaggio. Cinquecentoottantacinque furono selezionati per le camere a gas; tra essi ve ne erano alcuni che per un certo periodo vissero a Castel Frentano.

DUE FAMIGLIE DUE DESTINI. Salo Nagler, sua moglie Eige Fitzer, e il loro figlio Giacomo, erano internati in una casa di via della Rosa. Giacomo, studente universitario, impartiva lezioni ad alcuni giovani del paese.

Erano commercianti ebrei che dalla Polonia si trasferirono a Trieste nel 1920. Il 14 gennaio 1943, all’inizio dell’anno terribile, Salo scrisse a suo fratello Emanuele in America: «Stiamo tutti tre qui in buona salute. Scriveteci subito come state voi tutti. Informate tutti i nostri parenti. Saluti, baci. Salo, Adele, Giacomo. Nagler Emanuele - New York Bronx Tiffany Street, 988. USA)».

Su quel periodo c’è una testimonianza diretta (presa dall’introduzione al libro "Tempo della memoria-Internati a Castel Frentano 1941-1943") concessa da Rosetta Weintraub, ebrea, allora bambina: «I Nagler erano amici dei miei genitori, Lea Stern e Arturo Aron Weintraub. Nel 1943, essendosi fatta assai critica e pericolosa la situazione degli ebrei a Trieste decisero di recarsi (portando me Rosetta, unica figlia, con loro) a Castel Frentano per vedere se le condizioni di vita erano più accettabili. Mio papà aveva intenzione, però, di ritornare a Trieste per sistemare economicamente le cose per poi tornare a Castel Frentano.

Noi non eravamo internati. Avremmo dovuto, al nostro arrivo, andare in Comune e iscriverci penso come stranieri; per fortuna non lo facemmo. Io ricordo pochissime cose degli anni trascorsi a Castel Frentano perché ero piccola, quando sono arrivata avevo solo sette anni. Probabilmente tanti ricordi spiacevoli li avrò inconsciamente cancellati, ci sono però alcuni piccoli fatti che ricordo. Ho imparato a lavorare a maglia nelle lunghe sere fredde quando con le donne della casa dove abitavo, stavamo sedute intorno al grande braciere acceso».

«Ai primi di novembre del 1943 ci fu la retata degli ebrei per opera dei tedeschi. La mia mamma, con grande coraggio e sfidando la sorte, andò a trovare i Nagler nella scuola del paese, dove erano rinchiusi assieme agli altri perseguitati. Nota di colore: la notte seguente a quella visita andò a dormire; quando si coricò, aveva i capelli castani, si alzò con i capelli bianchi. Quando si dice: incanutire per lo spavento! Siamo rimasti a Castel Frentano fino alla fine del ’44 e abbiamo convissuto la liberazione del paese. Desidero ancora una volta esprimere la mia infinita gratitudine agli abitanti del vostro meraviglioso paese (Castel Frentano, ndc) che ci aiutarono, rischiando tanto, a sopravvivere. Se io sono ancora viva e se i miei genitori furono in grado di vivere fino alla fine naturale dei loro giorni, lo dobbiamo in gran parte al grande cuore degli abitanti di questo paese».