«Voglio solo tornare al mio posto di lavoro»

Chiede aiuto il sorvegliante Sevel mai reintegrato nonostante due sentenze

ATESSA. «Perché continuano a prendermi in giro? Io voglio solo tornare a lavorare». E' esasperato Claudio Trivellone, il sorvegliante della Sevel (gruppo Fiat) licenziato e poi reintegrato dal giudice due volte, sia in primo grado che in appello, ma mai ripreso a lavorare nello stabilimento.

«Mi hanno chiamato in azienda, sono stato a colloquio con due addetti alla gestione del personale che mi hanno assicurato che sarei stato ripristinato sul posto di lavoro, anche se in un altro reparto», racconta Trivellone. Ma questo accadeva due mesi fa e il tempo si amplifica quando si è a casa in attesa di una raccomandata che rompa finalmente una situazione di stallo lunga ormai quasi tre anni.

L'azienda intanto paga lo stipendio a Trivellone dal 2009 e lui deve rimanere a disposizione 24 ore su 24, ma non può mettere piede nello stabilimento.

Il tribunale dell'Aquila lo scorso gennaio gli ha dato di nuovo ragione, rigettando l'appello della Sevel, ma nulla si muove. «Insieme a me sono state licenziate altre persone ma una volta reintegrate da una sentenza stanno via via tornando al lavoro, perché non accade lo stesso a me? A chi do fastidio?», chiede Trivellone.

Ai problemi di ansia e depressione che ormai lo accompagnano da tempo per la difficile situazione che è costretto a subire, si uniscono anche le preoccupazioni di carattere economico.

«Ho problemi a portare a termine gli impegni economici assunti per la casa. Quando lavoravo prendevo le maggiorazioni per le ore notturne, facevo tanti straordinari per portare avanti la famiglia. Ora mi hanno messo al palo, mi mandano ogni mese un misero stipendio. Così distruggono la mia dignità, mi consumano ogni giorno».

Lo sfogo di Trivellone è quello di un uomo che nonostante le vittorie in tribunale continua a sentirsi vittima di un'ingiustizia. Parla di getto, si sente perseguitato: «Il mio vecchio caposquadra mi ha anche querelato per calunnie», dice, «ce l'hanno con me perché sono scomodo».

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