Comunicato Stampa: “Conservatori di tutto il mondo unitevi”, un pamphlet incisivo a difesa della democrazia

23 Dicembre 2025

Negli ultimi anni la parola “rivoluzione” ha cambiato casacca. Compare nei comizi, nei post, nei talk show, nei video tagliati a misura di algoritmo, come una promessa di semplificazione e di riscatto. L’energia che un tempo apparteneva al vocabolario dell’emancipazione sociale viene spesa per restringere, per sorvegliare e ridisegnare confini morali prima ancora che politici . Dentro questa torsione linguistica si muove una domanda: che cosa resta della democrazia quando la fiducia nelle istituzioni si logora e quando il diritto si trasforma in capriccio della maggioranza del giorno?
“Conservatori di tutto il mondo unitevi. Contro la rivoluzione regressista” di Paolo Galletti , pubblicato dal Gruppo Albatros Il Filo , entra in questo scenario con un gesto che colpisce per chiarezza e coraggio: prendere sul serio le parole prima ancora degli schieramenti. Il sottotitolo è un avvertimento e una chiave: la “rivoluzione regressista” non è uno slogan utile a catalogare l’avversario, è un fenomeno che l’autore descrive come rovesciamento del senso comune politico. Nel suo impianto, il libro propone una mappa: ridefinire conservatori e progressisti in un’epoca in cui conservare significa, paradossalmente, difendere la democrazia costituzionale , i diritti sociali, il perimetro delle garanzie condivise, la dignità del lavoro, l’accesso alla salute, la possibilità di istruirsi e di partecipare.
La prima virtù dell’opera sta nella capacità di mettere ordine senza impoverire. Galletti invita a “ritrovare il senso della complessità” . Complessità come rifiuto delle scorciatoie, come attenzione alle cause multiple, come disponibilità a distinguere tra critica e demolizione. Il libro non si limita a constatare l’insofferenza verso la politica, la registra come dato storico, ne indaga le radici, la collega alla percezione di una classe dirigente distante dai bisogni reali delle persone. Lì nasce la frattura che alimenta il populismo : quando la rappresentanza appare un rituale autoreferenziale, il desiderio di un rapporto diretto con il “capo” diventa seducente. Seducente perché promette velocità, ascolto e una vendetta simbolica contro procedure percepite come ostacoli.
Qui si inserisce uno dei nuclei più forti del testo: l’analisi dell’attacco alle istituzioni come cifra del nostro tempo . L’autore mostra come il populismo agisca su un doppio binario: delegittimazione della mediazione e costruzione di una figura di potere capace di saturare lo spazio pubblico. L’istituzione viene descritta come intralcio, come burocrazia inutile o come “casta”, mentre il leader viene narrato come corpo vivo del popolo e soluzione incarnata. L’autore si muove con passo argomentativo, porta esempi, connette la comunicazione alla forma di governo, ricorda che la democrazia vive di limiti, quindi vive di regole, quindi vive di un’etica della responsabilità.
In questo quadro risuona uno dei concetti centrali del libro: “La vera democrazia fa dello Stato qualcosa che appartiene a tutti” . È una definizione che sposta l’attenzione dal consenso alla proprietà collettiva, dal tifo alla cittadinanza. Lo Stato, in questa prospettiva, non è bottino da conquistare, ma bene comune da amministrare. La democrazia non è un evento elettorale, è un patto che si rinnova ogni giorno nel modo in cui si tutela chi resta indietro, si distribuiscono risorse e si riconoscono diritti. Questo passaggio è centrale perché consente a Galletti di rovesciare un equivoco diffuso: la democrazia non coincide con la pura volontà della maggioranza, bensì con l’insieme di condizioni che permettono anche alla minoranza di restare cittadina a pieno titolo.  Da qui nasce il punto forse più provocatorio, insieme più fecondo: la proposta di chiamare “conservatore” chi difende il progetto democratico e i suoi strumenti. Conservare, per Galletti, significa proteggere l’architettura che rende vivibile la convivenza e difendere i diritti sociali.
Un capitolo particolarmente significativo riguarda il linguaggio della comunicazione e il rapporto tra notizie e manipolazione . L’autore insiste su un punto che chiunque abbia osservato il funzionamento dei media negli ultimi anni riconosce come decisivo: non basta più discutere di contenuti, occorre discutere di forme. La semplificazione non è solo un registro, diventa un dispositivo di governo. Il populismo prospera quando il mondo viene ridotto a poche frasi , a poche immagini, a pochi colpevoli. In questa prospettiva, il libro non offre parole-chiave da ripetere, ma strumenti per andare in profondità. 
L’esempio di Trump è emblematico. Galletti lo utilizza per mostrare come un leader possa trasformarsi in figura totale : politico, intrattenitore, predicatore, venditore di sé stesso. La politica diventa narrazione continua, performance che non conosce pausa, macchina che crea fedeltà attraverso l’emozione. Il risultato è un rapporto che assomiglia a una devozione. Qui si affaccia un concetto che l’autore chiama “religione regressista” , una forma di credenza politica che chiede adesione piena, che semplifica il bene e il male, che sostituisce la prova con il sentimento. Il libro mette in guardia su questo punto perché la fede nel capo richiede, quasi sempre, un sacrificio: il sacrificio della critica, delle istituzioni e della complessità.
Questa riflessione si allarga alla dimensione internazionale e, in particolare, all’Unione Europea. Nel discorso populista, l’ Europa diventa il bersaglio ideale : distante, tecnocratica, facile da accusare, utile da evocare come minaccia. Galletti registra l’aumento degli attacchi alle organizzazioni sovranazionali e descrive come questa ostilità contribuisca a indebolire l’idea stessa di cooperazione. In un tempo in cui i problemi hanno natura globale, l’erosione dell’Europa appare all’autore come un gesto suicida travestito da orgoglio. 
La forza del libro sta anche nella sua intenzione progettuale. Galletti non si ferma alla diagnosi, costruisce una proposta che ruota attorno a un “progetto politico conservatore” capace di porre attenzione su quattro campi decisivi: linguaggio, lavoro, ambiente, tecnologia . Linguaggio come cura del dibattito pubblico e difesa della verità verificabile; lavoro come fondamento della dignità, spazio di diritti e argine alla precarizzazione che alimenta rabbia e rancore; ambiente come prova dell’intelligenza politica e obbligo verso le generazioni future; infine tecnologia come terreno di potere, come campo in cui si decidono libertà, controllo, accesso, informazione. In questa quadruplice direzione, il libro si presenta come strumento operativo: una cassetta degli attrezzi per chi cerca categorie pulite e scelte misurabili.
Lo stile di Galletti sostiene questa ambizione. La prosa è chiara, sorvegliata, costruita per accompagnare . La struttura procede per concatenazioni logiche, rilanci tematici ed esempi che rendono visibile ciò che si sta dicendo. È un saggio che non chiede che il lettore abbia competenze specifiche, ma che sia presente. Un lettore disposto a riconoscere che la democrazia non è garantita per inerzia, vive di manutenzione. Conservare la democrazia significa tornare a credere che lo Stato appartenga a tutti , quindi tornare a chiedere che funzioni per tutti. Significa sottrarre le parole alla furia della semplificazione, restituire dignità al dubbio, riportare la complessità nel discorso pubblico senza trasformarla in alibi. In un’epoca che premia l’urlo e la fedeltà, questo libro sceglie la strada più difficile: ragionare. 

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