Adele Grisendi: «I miei trent’anni  d’amore con Pansa»

«Quando non ci sarò più, devi scrivere la nostra storia», era la richiesta di Giampaolo Pansa alla compagna Adele Grisendi. E lei, a un anno dalla scomparsa del giornalista, onora l'impegno in un...

«Quando non ci sarò più, devi scrivere la nostra storia», era la richiesta di Giampaolo Pansa alla compagna Adele Grisendi. E lei, a un anno dalla scomparsa del giornalista, onora l'impegno in un libro intimo, che racconta l’amore sullo sfondo di un'Italia in profonda trasformazione. La politica, il mondo che cambiava, il giornalismo tornano in ogni pagina di un libro che parla in prima battuta di un uomo e di una relazione nata per caso e durata trent’anni in concordia sorretta da un affetto mai scemato, tra dimostrazioni quotidiane di un amore quasi adolescenziale.
Così è già dal racconto del primo incontro, sul treno da Roma per Firenze il 23 novembre 1989: fa tenerezza lo sforzo di Adele, che, non più ragazzina, si convince a importunare il grande cronista chiedendogli come era finita la riunione del Pci di quella mattina che avrebbe segnato la fine di un'epoca con la nascita del Pds. Un amore nato quando Pansa aveva superato i 50 anni e lei, dirigente della Cgil, i 40. «Oltre all'intensità del sentimento che ci legava», scrive, «tra noi esisteva un profondissimo rispetto reciproco. E una complicità altrettanto forte».
L'uomo Pansa emerge in tutti i suoi aspetti, nella vita personale e quella lavorativa che si intrecciano continuamente. «Allegro e impertinente», ricorda la compagna , «un po’ narcisista, a proprio agio nel trovarsi al centro dell'attenzione». Uomo curioso fino all'ossessione, sapeva inanellare domande senza sosta per raccontare gli eventi attraverso dettagli che altri non coglievano, carpiti con il suo celebre binocolo. Ottimista, capace di affrontare con determinazione gli insulti seguiti all'uscita dei suoi libri revisionisti sulla guerra civile italiana tra il 1943 e il 1946 e le critiche subite per gli attacchi al mondo del giornalismo. E ancora, dopo gli strappi con i colleghi, a partire dall'addio a La Repubblica, nel luglio 1991 per passare alla vicedirezione dell'Espresso, vissuta come lesa maestà da Eugenio Scalfari. Grisendi racconta quegli anni, centrali per la storia del giornalismo italiano, anche dall'interno delle redazioni. Emerge il ritratto di un giornalista innamorato del proprio lavoro, che ha pagato ad alto prezzo la scelta di non cedere mai sul piano dell'indipendenza e della libertà di pensiero. Il suo pacifismo, il passaggio a Dagospia negli ultimi anni di vita, fino alle feroci accuse rivoltegli dopo la pubblicazione de Il sangue dei vinti del 2003. Fino agli ultimi mesi difficili, la malattia. «Un modo», spiega l'autrice« «per lasciare testimonianza dei tanti anni d'amore e di complicità».