il romanzo

Cooper: il segno della Croce dall’America all’Abruzzo

Lo scrittore di thriller oggi al Museo Michetti per presentare il suo nuovo romanzo Un prete di Francavilla con le stimmate in un intrigo internazionale con ex nazisti

Se l'assassino torna sempre sul luogo del delitto, uno scrittore può farlo nella location del suo nuovo romanzo. Così Glenn Cooper è oggi alle 19.30 al Museo Michetti di Francavilla, dove si ambientano molte pagine de Il segno della croce (Nord, 412 pagine, 19,90 euro), presentato al pubblico abruzzese. L'incontro, patrocinato dall'amministrazione comunale, rientra nella rassegna sul giallo a cura di Carla Porcaro. È l'imperdibile occasione di ritrovare dal vivo l'autore che più di ogni altro ha rivitalizzato il thriller storico-archeologico, portandolo dalle ipotesi più o meno fantasiose alla più rigorosa documentazione. Cooper, 63 anni, americano di White Plains nello Stato di New York, torna a Francavilla a un anno esatto dal suo precedente passaggio, per l'uscita italiana della trilogia sui Dannati, dove ricostruiva un inferno su basi scientifiche. Ora tocca a un intrigo che attraversa lo spazio e il tempo.

Un giovane prete di Francavilla, Giovanni Berardino, riceve le stimmate, come Padre Pio. Lo braccano gli adepti di una setta tedesca fondata dal temibile Heinrich Himmler, il capo delle SS. Il Vaticano incarica di scoprire la verità Calvin Abraham Donovan, docente di Storia della religione a Harvard, la prestigiosa università di Cambridge nel Massachusetts. Dall'America all'Abruzzo e poi in Croazia, il professore si districa fra le reliquie di Cristo e un complotto dalle finalità terrificanti, legate all'attualità internazionale. Il tutto con una narrazione che oscilla dal passato remoto al presente, un ritmo che spiazza di continuo e crea l'effetto “voltapagina”.

Se ne parla con Glenn Cooper, a partire dalla prima e più ovvia domanda.

Perché ha scelto un prete di Francavilla al Mare quale personaggio centrale del libro?

«Pensavo già di ambientare il libro in Abruzzo, una regione che conoscevo, dal momento che la fidanzata di mio figlio è di Pescara. Ma l'anno scorso, mentre Il segno della croce era in corso d'opera, ho visitato Francavilla per promuovere la mia ultima trilogia, Dannati, e sono rimasto colpito dallo spirito e dalla cordialià del posto. Allora mi sono detto, perché non Francavilla?»

Il segno della croce, come tutti i suoi precedenti romanzi, è un incrocio fra mitologia religiosa, fede e scienza. In questo caso, la fisica quantistica. Retaggio della sua formazione accademica?

«Bisogna considerare che non ho mai davvero studiato fisica, a parte un corso di fisica newtoniana al college, obbligatorio per entrare a medicina. Ho sviluppato un interesse per la meccanica quantistica grazie ai libri divulgativi del fisico Brian Greene, e ho passato un bel po' di tempo a studiare un corso online della Stanford University, col risultato di imparare ad apprezzare da profano la meccanica quantistica. Più si approfondisce questo campo, più si immagina che i fondamenti della fisica potrebbero spiegare alcuni miracoli della cristianità. Con il fenomeno dell'entanglement quantistico, alcune particelle subatomiche, una volta messe insieme, continueranno a funzionare come due parti della stessa unità anche dopo essere state separate, o a breve distanza o ai capi opposti dell'universo. Questo per me era un concetto irresistibile da applicare a una storia che parla di miracoli».

Nel suo libro la trama verte su Catari, nazisti e risvolti segreti della storia del cattolicesimo. È stato difficile per un americano penetrare nei dettagli linguistici della narrazione quando ha affrontato il compito di documentarsi?

«Tutti i miei libri si basano su una forte documentazione e questo non è diverso. In realtà mi piace calarmi nello studio di materie che ignoravo. Per Il segno della Croce ho scoperto un mondo di misticismo nazista di cui avevo solo un'idea frammentaria».

Il fattore più importante de Il segno della croce è l'enigma delle stimmate. Lei sa del ruolo molto carismatico acquisito da Padre Pio nel repertorio religioso italiano specialmente nel meridione? Ne conosceva la figura prima di scrivere il romanzo?

«Sapevo di Padre Pio da molto tempo, ma ho deciso veramente di scrivere sulle stimmate qualche anno fa, a cena con l'Arcivescono di Lecce, Domenico D'Ambrosio, che quando era un giovane prete a San Giovanni Rotondo si occupò della salma alla morte del frate. Al mio ritorno negli Stati Uniti, ho comprato tutti i libri che trovavo su Padre Pio, e a quel punto il romanzo era lanciato. Ho sentito che era importante trattare l'interpretazione della sua vita con accuratezza e simpatia. Era una figura controversa, che però è ancora molto venerata, specialmente al sud, come dice lei».

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