«La poesia lenisce, consente di capire e ricompone» 

La poetessa aquilana cura “La parola che ricostruisce” una antologia di versi per la città terremotata

L’AQUILA. “La parola che ricostruisce”, questo il titolo di due pubblicazioni dedicate all’Aquila che raccolgono contributi poetici dei migliori poeti nazionali e abruzzesi. Anna Maria Giancarli è la curatrice di queste due sillogi, la prima pubblicata dalle edizioni Tracce la seconda uscita pochi mesi fa pubblicata dalle edizioni Bertoni. Anna Maria Giancarli, aquilana che vanta collaborazioni con grandi autori della neoavanguardia – da Sanguineti a Nanni Balestrini, oltre al sodalizio con Francesco Muzzioli, teorico della letteratura sperimentale – parla con il Centro dell’antologia da lei promossa.
“La parola che ricostruisce”: ma può davvero la parola ricostruire? E cosa?
La parola nomina il mondo tutto, lo pensa e lo legge, quindi lo comunica. È lo strumento che il pensiero ci consente, fondamentale, in certi tragici passaggi della vita, per capire, analizzare e ricostruire ciò che è stato frantumato o distrutto.
Quale contributo può dunque dare questa silloge, ma anche la precedente, alla rivitalizzazione dell’Aquila dopo il tremendo terremoto?
Le parole poetiche, in quanto tali profonde, rivolte alla città sofferente e alla sua popolazione non possono essere che benefiche, sia per la loro solidarietà, sia per mitigare il senso di solitudine e di spaesamento che si prova a dover abbandonare la propria casa e la propria città.
Quale è stato, oltre ovviamente alle povere vittime, l’aspetto più terribile del terremoto del 2009?
Certamente le vittime del sisma rappresentano il dolore al massimo grado ma, poi, ripeto, il dramma è stato lasciare la propria città.
Qual è il suo ricordo più doloroso, o comunque più intenso, dell’evento sismico che ha colpito L’Aquila?
Non poter portare fuori di casa, perché molto malato, mio marito Ennio Di Vincenzo, mentre la terra continuava a tremare dopo le 3,32. Sono trascorsi tre giorni prima che da noi potesse arrivare un’ambulanza.
Quali sono i contributi più degni di nota che caratterizzano l’antologia?
La voce dei poeti italiani s’è diffusa dalle tendopoli agli alberghi della costa attraverso letture, carovane di poesia, alimentando la fiducia ad andare “oltre” le macerie materiali e interiori nel non-luogo che, nel frattempo era divenuta L’Aquila. L’antologia può essere considerata uno spartito a più voci, attraversata da un unico filo, quello della condivisione umana, nella varietà degli stili e dei registri. Perciò ogni contributo è stato prezioso e ha motivato la rinascita.
È giusto dire che la poesia va configurandosi nella contemporaneità sempre più come un’esperienza collettiva, di condivisone – legata a eventi, reading, conferenze, proposte editoriali di gruppo – piuttosto che come esperienza di scrittura individuale, solipsistica?
Nel momento in cui si scrive si è soli con le proprie parole, ma poi, è giusto che la “poesia” dilaghi tra gli altri con tutti i mezzi. Ho sperimentato più volte queste “operazioni” affiggendo poesie sulle transenne, sugli autobus, sui muri delle scuole e sulle case distrutte. Ho proiettato poesie sulle strade, sui palazzi e ho letto, insieme agli altri poeti, poesie, in luoghi non canonici come i supermercati. È stata sempre un’esperienza entusiasmante per la risposta del “pubblico della poesia”, così come lo definiva Nanni Balestrini.
Come vede lei la condizione odierna dell’Aquila, riguardo alla ricostruzione ma anche alla ricomposizione del tessuto culturale e sociale?
La città è ancora attraversata da un profondo dolore collettivo, ma va risorgendo e recuperando la sua identità. La ricostruzione procede tra mille difficoltà e tra la gioia di poter rivedere tanti suoi palazzi e case e monumenti più splendidi di prima. È ancora difficile vivere in un luogo in trasformazione, privo di punti di riferimento. Ma la cultura s’è rivelata feconda materia ricostruttiva per l’aggregazione che consente, per la possibilità di scambio, per le opportunità di assaporare momenti che leniscono il disagio sociale.
È stato fatto tutto quello che era possibile per la città ?
Tutti conoscono le tristi vicende che hanno connotato il dopo terremoto, esse parlano da sole. È ovvio che siano stati fatti molti errori e che siano entrati in gioco interessi non sempre nobili, pur tra tanta solidarietà ricevuta. Ci sono stati anni di stasi, con i governi che si susseguivano e la città che languiva tra buio, macerie, palazzi ingabbiati e silenzio. Si poteva fare di più, anche nel costruire una visione complessiva della città a livello urbanistico, economico e sociale.
Quali sono i suoi prossimi progetti? Ha in mente altre iniziative del genere, magari sempre a vantaggio dell’Aquila?
Continuerò a operare con l’unico mezzo di cui posso disporre: quello della cultura e in primis della poesia, cosciente del mio limitato apporto di fronte ad un evento così catastrofico.
Qual è l’umore dell’Aquila oggi, come si snodano vita e relazioni?
Siamo in attesa di poter rivivere la nostra città e il suo, per noi, meraviglioso centro storico. Siamo in attesa della ricostruzione pubblica, prima di tutto di quella delle scuole. Siamo in attesa di qualche seria iniziativa economica che crei lavoro e consenta ai giovani di restare. Siamo in attesa da 10 anni, resistendo ad una vita complicata, a volte surreale che richiede una continua messa a punto delle condizioni personali e collettive. Siamo in attesa impegnando tutte le nostre energie per un futuro di rinascita per noi e per l’intera regione. Viviamo in attesa.
©RIPRODUZIONE RISERVATA