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Montalbano superstar, un ritorno in tv da record

Il primo dei nuovi episodi di Rai1 è stato visto da 11 milioni di telespettatori. Le ragioni del successo di un eroe che usa l’intelligenza invece della tecnologia

«Maturo, sperto, omo di ciriveddro e d'intuito». Lo definisce così, Montalbano, Andrea Camilleri nel romanzo “La luna di carta”. Maturo, esperto, uomo di cervello e di intuito: quattro attributi che forse spiegano il fascino del personaggio; un carisma che la trasposizione televisiva dei libri dello scrittore siciliano non fa altro che accrescere, fino a raggiungere vertici come quelli di lunedì sera quando, “Un covo di vipere”, il primo di due nuovi episodi, trasmesso da Rai1, con Luca Zingaretti nei panni del commissario, è stato visto da 10 milioni e 674 mila spettatori con il 40.8% di share. E’ il terzo “Montalbano” più visto di sempre. Per la percentuale d'ascolto è il secondo (meglio di “Piramide di fango” che, il 7 marzo 2016, aveva collezionato uno share del 40.9%). Il film - con Valentina Lodovini e un tema forte come l'incesto - è il terzo “Montalbano” più visto di sempre. Zingaretti e gli altri tre attori (Cesare Bocci- Augello, Peppino Mazzotta- Fazio e Angelo Russo- Catarella) che fanno parte del cast fisso hanno festeggiato il successo con una foto su Twitter e Facebook che li ritrae sorridenti e travestiti da Beatles della prima ora, con la scritta “The Inimitables”.

Il successo dei romanzi di Camilleri precede di pochi anni quello dei telefilm che la Rai ne ha tratto. Il primo Montalbano di carta, “La forma dell’acqua”, risale al 1994; l’esordio sul piccolo schermo di Montalbano alias Zingaretti, nel “Ladro di merendine”, è di cinque anni dopo. Ma chi è Montalbano e qual è la chiave di un successo che, in termini di ascolto, è paragonabile ormai solo a una serata finale del Festival di Sanremo oppure a un partita di Coppa del mondo della Nazionale?

L’identificazione fra Salvo Monbtalbano e Luca Zingaretti è ormai totale, anche se il personaggio creato da Camilleri è fisicamente diverso da quello televisivo. I “montalbanonologi”, che sono filologicamente agguerriti come i cultori di Proust, sanno che Camilleri si diverte a disseminare i suoi romanzi e racconti di brandelli di particolari fisici e biografici sul loro eroe dai quali spesso salta fuori un personaggio solo lontano parente dell’attore che lo interpreta. Tanto per cominciare, il Montalbano di carta non è calvo ma ha folti capelli e addirittura anche baffi. Nel romanzo “La danza del gabbiano” c’è un esempio di metaletteratura che chiarisce bene questa dicotomia. Nelle pagine iniziali Montalbano discute con Livia, la sua eterna fidanzata, una sorta di Penelope che lo attende da anni nella sua Itaca ligure. Lei cerca di convincerlo a fare insieme una gita tra Modica, Ragusa e Scicli per visitare le architetture del barocco siciliano. Montalbano, però, non ne ha voglia. «Non vorrei», dice, «che mentre ci siamo noi girassero lì qualche episodio della serie tv». E Livia obietta: «E che te ne frega, scusa? – E se putacaso mi vengo a trovare faccia a faccia con l'attore che fa me stesso... come si chiama... Zingarelli. – Si chiama Zingaretti, non fare finta di sbagliare (...) e poi nemmeno vi somigliate (...) lui è assai più giovane di te.– E che minchia significa? Se è per questo lui è totalmente calvo, mentre io ho capelli da vendere».

E l’età di Montalbano? Quanti anni ha il commissario di Vigata? Be’, adesso, dovrebbe avere 67 anni, 9 in più di Zingaretti. Montalbano, infatti, risulta essere nato a Catania il 6 settembre 1950. Chi ce lo dice? L’inquadratura di uno dei primi telefilm: la data di nascita è scritta sul documento trovato nella borsetta dell'agente dei servizi deviati (interpretato da Elisabetta Gardini) nel romanzo “Acqua in bocca”. Con quella data di nascita, Camilleri immerge la gioventù del suo personaggio negli astratti fuorori del Sessantotto. Scrive, infatti, nel racconto “Lo Yack” della raccolta “Un mese con Montalbano”: «Nel '68 il futuro commissario, che aveva diciotto anni, fece scrupolosamente tutto quello che c'era da fare per un picciotto della sua età: manifestò, occupò, proclamò, scopò, spinellò, s'azzuffò. Con la polizia, naturalmente».

Ma non è la biografia – comune a tanti della sua generazione – l’elemento al centro del fascino che Montalbano esercita sul pubblico dei lettori e dei telespettatori. A farne un eroe popolare è un’altra sua qualità-difetto che lo rende attraente come un campione degli arcitaliani. Il commissario di Camilleri ha una sorta di amore-odio con la tecnologia. Per esempio, con i telefonini, specie nei primi romanzi, Salvo non ci si raccapezza proprio. I telefonini, scrive Camilleri, «dicevano, per esempio: il numero da lei chiamato è inesistente… Ma come si permettevano un'affermazione accussì? Tutti i nummari che uno arrinnisciva a pensari erano esistenti. Se veniva a fagliari (mancare, . ndr)un nummaro, tutto il mondo si sarebbe precipitato nel caos. Se ne rendevano conto quelli dei telefoni, sì o no? ».

Precipitare nel caos è lo spauracchio nascosto ogni volta nello gnommero gaddiano di ogni caso di omicidio che affronti. E come affronta questo caos, Salvo Montalbano? Non con la tecnologia che domina in telefilm americani come Csi e Ncis. Da cartesiano, lo gnommero lui lo dipana con l’intelligenza: un misto di razionalità nordica e intuito mediterraneo. «In questo», scrive Camilleri in un racconto di “Un mese con Montalbano”, «consisteva il suo privilegio e la sua maledizione di sbirro nato: cogliere, a pelle, a vento, a naso, l'anomalia, il dettaglio macari impercettibile che non quatrava con l'insieme, lo sfaglio minimo rispetto all'ordine consueto e prevedibile».

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