Remo Rapino mostra il riconoscimento per il Premio Campiello

L'INTERVISTA

Rapino: "La follia di Liborio allontana la paura"

Lo scrittore  abruzzese (di Casalanguida) il giorno dopo la vittoria del Premio Campiello: proposte per riduzioni teatrali e interesse per un film, il libro si presterebbe anche a un docu film

VENEZIA. Tra Forrest Gump e Don Chisciotte, il folle Liborio Bonfiglio di Remo Rapino ha conquistato tutti, dal pubblico alla critica. Ha vinto a sorpresa la 58/a edizione del Premio Campiello con 92 voti su 264 espressi dalla Giuria dei Lettori Anonimi ed era tra i dodici in corsa per la cinquina del Premio Strega 2020. «Il periodo che stiamo vivendo chiede di recuperare valori come la fratellanza, la solidarietà, l'accettazione dell'altro, del diverso e Liborio Bonfiglio rappresenta tutto questo. La sua è una follia di cuore e sentimenti, allontana la paura. Come i folli shakespeariani, non è una follia criminale. La sua è una vita diversamente vissuta, una neo diversità che va ascoltata» dice all'Ansa Rapino il giorno dopo la vittoria.

In partenza da Venezia, dove sul palco di Piazza San Marco ha ricevuto ieri sera il Premio Campiello, Rapino, 69 anni, che vive a Lanciano ed è nato a Casalanguida a pochi chilometri dalla città, con "Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio" (minimum fax), suo secondo romanzo, ha dato vita a un personaggio immaginario, ma i fatti sono reali.

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La vita di Liborio dal 1926, anno in cui viene al mondo, al 2010, quando si prepara ad uscire di scena, è fatta di perdite, della madre e del nonno che lo hanno cresciuto, della scuola che avrebbe voluto frequentare oltre le elementari, ma resta il libro Cuore da cui non si separa mai, dell'unica donna che amava. Ed è un'esistenza mai rassegnata, segnata da battaglie, dal lavoro in fabbrica al manicomio, al carcere fino alla solitudine della vecchiaia in un piccolo paese non identificato del Sud.

«Liborio raccontando se stesso racconta un secolo di storia da una periferia esistenziale e dà voce a quelli che non hanno voce, agli ultimi della fila, agli emarginati. È una figura che si illude, ma illudendosi crea anche delle speranze. È uno che dice "il re è nudo" come nella favola di Andersen. È questa la sua funzione. Cerchiamo di guardare oltre le apparenze» spiega Rapino che dedica la vittoria del Campiello al padre che è nato nel 1926 e morto nel 2010 come Liborio. E dice di aver scoperto alla fine che questo «è un libro d'amore, tragico e divertente».

Conoscere Liborio è come incontrare una persona che parla in modo strano, ma oggi che cosa direbbe? «Non lo so. Probabilmente sceglierebbe il silenzio. Un silenzio che dice molto più di tante parole». «Ogni follia è un'energia che abbiamo dentro, spesso insopprimibile, che se esplode può rovesciare i codici sociali dominanti, mettere in dubbio le nostre certezze. In Liborio non c'è rassegnazione. Quando va in carcere ci va perché si ribella a un modello di lavoro, quello a cottimo. Quando va nel manicomio non accetta la follia, ma cerca di capire gli altri. Le persone che appaiono nel manicomio le ho tratte dagli archivi del manicomio provinciale di Imola», racconta Rapino che ha lavorato molto e soprattutto sul linguaggio per questo libro. «Andrebbe letto con il fiato grosso. È il resoconto di tante storie che mio padre mi raccontava. Le sue stesse parole le ho messe in bocca a Liborio. I libri vanno scritti con le voci degli altri in un dialogo continuo» dice. E sottolinea: «Inventare storie è molto meno complicato che inventare un linguaggio. Io ho avuto difficoltà a trovare un codice di scrittura, a inventare una lingua. Liborio parla un italiano dialettizzato, meticciato, pieno di parole in chiaroscuro. È un linguaggio fatto di sgrammaticature, volute. Però Liborio poteva scrivere la sua storia soltanto parlando in quel modo», afferma Rapino che durante il lockdown ha scritto una serie di poesie in linguaggio liboriano. «È una specie di gioco, vediamo come va a finire» spiega. Autore di poesie, racconti e del romanzo "Un cortile di parole" (Carabba) che è «la storia di un Liborio brasiliano, ambientato a Rio de Janeiro e ispirato alla storia vera di Evando dos Santos che portava i libri nelle favelas», Rapino alla cerimonia di premiazione in piazza San Marco si sentiva «più uno spettatore. Lo Strega è più legato ai grossi gruppi editoriali. Il Campiello più attento ai libri», dice lo scrittore che con il suo romanzo ha portato alla vittoria un piccolo editore, minimun fax.

La storia di Liborio non avrà nessun seguito. «È unica e resta così. Sto pensando a un nuovo libro, ma è presto ancora». "Per Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio" ci sono «proposte per riduzioni teatrali e interesse per farne un film e il libro si presterebbe, anche a un docu film, ma non c'è nulla di concreto al momento. Nei panni di Liborio vedrei bene Leo Gullotta», rivela Rapino che il 15 settembre sarà al Teatro Olimpico di Vicenza.