Schiazza: «Le storie possono trasformare la violenza in amore»
Stasera all’Arca il docufilm sul rapporto tra uomo e animali Il regista: «Gli arrosticini? Le tradizioni possono cambiare»
PESCARA. «Ho sempre avuto il desiderio di raccontare storie coi film». Parla con dolcezza il cineasta pescarese Alessio Schiazza, 38 anni a dicembre, cresciuto in via del Circuito, dov’è rimasto fino ai vent'anni, quando è partito per l'America dei suoi sogni di filmmaker. «Da piccolo filmavo delle cose con una telecamera. Cresciuto, volevo fare qualcosa di più, studiare cinema. Inizialmente ho pensato a Roma, poi però ho deciso di esplorare l'America. Sono partito con un biglietto di tre mesi e non sono più tornato». Ora Alessio torna a Pescara col suo dirompente documentario Cuori liberi, fino all'ultimo respiro, in programma stasera al multiplex Arca di Spoltore (ore 20.45). La conversazione sarà condotta dal critico Francesco Di Brigida. Il film, prodotto da We Are Animals e distribuito da Mescalito, sta girando l'Italia insieme al suo autore, che qui documenta la battaglia pacifica e impari degli animalisti contro le forze dell'ordine per difendere un rifugio per animali a Sairano (Pavia) e impedire la soppressione da parte dei veterinari di nove maiali a seguito di un provvedimento sanitario di abbattimento, ritenuto ingiusto dagli attivisti perché gli animali non erano destinati alla produzione alimentare e quindi, pur in presenza di un focolaio di peste suina africana (Psa), non pericolosi per l'uomo. Cuori liberi, che sollecita una riflessione sul trattamento riservato dall'uomo agli animali e sulla necessità di adottare regimi alimentari più sani e sostenibili, racconta quanto accaduto il 20 settembre di un anno fa, con l'irruzione in un luogo privato. Una vicenda, dai risvolti giudiziari e politici, ancora aperta. Rete dei Santuari e Progetto Cuori Liberi, il rifugio di Sairano, hanno sporto varie denunce per la distruzione del santuario, non ancora risarcito. All'incontro dopo la proiezione parteciperanno anche la presidente nazionale Lndc Animal Protection Piera Rosati, l’avvocato Lndc Michele Pezone e Paola Canonico, presidente della sezione pescarese di Lndc, che insieme a Lav ha sostenuto la produzione del film e prestato subito assistenza legale al Rifugio.
Schiazza, com'è nato il film Cuori liberi?
«Mi trovavo in Scozia per un altro documentario e avevo deciso di scendere a Pescara per vedere i miei genitori. Ho saputo che succedeva qualcosa a Sairano e sono partito. Sono stato davanti al rifugio per cinque giorni. Quel posto rappresenta dei valori per noi, è un luogo che rispetta gli animali, un luogo da debito, non da credito, perché chi gestisce la fattoria non usa gli animali, non fa reddito con loro. Le forze dell'ordine hanno cercato di entrare una prima volta, ma siamo riusciti a respingerli. Ero già tornato negli Stati Uniti quando ho saputo che all'alba del 20 settembre, con uno spiegamento mai visto, le forze dell'ordine in tenuta antisommossa avevano sfondato il rifugio e i veterinari dell'Ats di Pavia soppresso tutti gli animali. Mi sono sentito impotente e devastato. Il film è la mia risposta alla ricerca di giustizia. Ho intervistato biologi che parlano del virus della peste suina. Sono stato tre volte all'Ats, ma non mi hanno concesso interviste, pur avendo offerto l'opportunità di raccontare la loro versione. Devo ringraziare il fotoreporter Saverio Nichetti e la giornalista Martina Micciché che erano lì in quei giorni di presidio e mi hanno dato il loro materiale. La questione non è chiusa e anche il finale del film è un punto di domanda. Si cerca di ignorarci e zittire il dissenso, perciò ho voluto fare il film, che nel terzo atto affida la speranza di cambiamento ai bambini».
Come viene accolto il film? «Abbiamo avuto finora più di cinquanta richieste dai cinema. Siamo stati a Milano, Bologna, Firenze, Perugia, Roma, Napoli, ora Pescara. Dappertutto tanta gente, attenta e partecipe. È importante diffondere il messaggio, è un movimento che parte dal basso. Un film è come un libro, non è nulla se non viene visto e discusso».
Riuscirà a far arrivare il messaggio animalista e vegano in una regione “carnivora” come l'Abruzzo, terra di arrosticini, braci e grigliate?
«Anch'io mangiavo gli arrosticini, ho mangiato la carne fino a trent'anni. Cambiare si può, mia mamma è diventata vegana a 52 anni. Ho scoperto i santuari tanti anni fa. La violenza che c'è stata a Sairano è un punto di ingresso, un motivo per far empatizzare le persone. Anche tra noi umani c'è odio e violenza, ma l'odio può essere trasformato in amore, per far capire perché quelle persone erano lì. Anche le tradizioni possono cambiare col tempo, specie ora che abbiamo tante informazioni, anche su come vengono prodotti gli arrosticini. Stiamo distruggendo il pianeta, se vuoi bene a te stesso non mangiare la morte, la merda, la malattia. Per allevare gli animali vengono distrutti campi dove si potrebbero coltivare il mais, il grano per sfamare le persone».
Faccio l'avvocato del diavolo: non crede che le azioni e il linguaggio radicali di animalisti e ambientalisti possano allontanare, irritare le persone anziché sensibilizzarle?
«Ci sono diverse maniere di protestare, non posso dire cosa sia giusto o non giusto, ognuno fa quello che ritiene giusto nel proprio cuore. Siamo ottimisti però che questo film possa aprire la visione del mondo alla gente. Io cerco di raccontare la mia prospettiva della vita, non dico “devi fare così”. Il film è un documento, ti mostra le cose, la verità che è stata soppressa, tant'è che non è stato prodotto un verbale dell'accaduto. Certo, la verità può spaventare la gente, ma questo film in mezzo alla sofferenza lascia un senso di amore. Voglio rispondere con amore alla violenza».
Vent'anni fa lei ha lavorato all'Arca, alla biglietteria e come maschera. Che effetto fa tornare da autore?
«Ho lavorato lì per due anni, ho fatto un po’ tutto, pure il proiezionista, un’esperienza molto bella che mi ha dato la voglia di raccontare storie che possano aiutare a migliorare un po’ il mondo. Che effetto mi fa? Onestamente ancora non riesco a capire cosa sta succedendo. È sempre stato il mio desiderio nel cassetto mostrare il mio lavoro a casa. Ma alla fine non importa la mia presenza, io sono solo un mezzo per portare queste storie alla gente, voglio che arrivino alle persone per il cambiamento».
Come si è avvicinato al cinema professionale? Quali le visioni e gli incontri decisivi?
«In America ho studiato cinema in una scuola pubblica serale, dove mi sono appassionato al montaggio. Per cinque anni ho fatto il cameriere, mi sono mantenuto così. Nel 2013 da Montebello mi sono trasferito a Hollywood. Ho bussato a tante porte prima di avere un'opportunità con Ads, compagnia di produzione che lavora nella pubblicità e marketing. È stata una grandissima lezione, ho imparato la tecnica dell'editing (il montaggio, ndc). Mentre studiavo cinema ho iniziato a fare cortometraggi, vincendo anche dei premi. Nel 2018 ho visto il documentario Unity di Shaun Monson che mi ha stravolto la vita, perché mi ha mostrato la forza dello storytelling. Amo i film realistici, la loro forza nell'affrontare e raccontare la realtà. Ho iniziato a lavorare da freelance con organizzazioni che difendono i diritti degli animali e lì ho capito quanta sofferenza c'è. Ho collaborato proprio con Monson, autore di Earthlings (sconvolgente documentario del 2005 narrato dall'attore e animalista Joaquin Phoenix, disponibile su YouTube, ndc). Un onore lavorare con lui, una collaborazione che mi ha stravolto la vita. Ora sto montando un suo film. Ho anche collaborato con Joaquin Phoenix a tre corti, tra cui Liberty, sul salvataggio di un vitellino e della sua mamma dal mattatoio».
Schiazza, com'è nato il film Cuori liberi?
«Mi trovavo in Scozia per un altro documentario e avevo deciso di scendere a Pescara per vedere i miei genitori. Ho saputo che succedeva qualcosa a Sairano e sono partito. Sono stato davanti al rifugio per cinque giorni. Quel posto rappresenta dei valori per noi, è un luogo che rispetta gli animali, un luogo da debito, non da credito, perché chi gestisce la fattoria non usa gli animali, non fa reddito con loro. Le forze dell'ordine hanno cercato di entrare una prima volta, ma siamo riusciti a respingerli. Ero già tornato negli Stati Uniti quando ho saputo che all'alba del 20 settembre, con uno spiegamento mai visto, le forze dell'ordine in tenuta antisommossa avevano sfondato il rifugio e i veterinari dell'Ats di Pavia soppresso tutti gli animali. Mi sono sentito impotente e devastato. Il film è la mia risposta alla ricerca di giustizia. Ho intervistato biologi che parlano del virus della peste suina. Sono stato tre volte all'Ats, ma non mi hanno concesso interviste, pur avendo offerto l'opportunità di raccontare la loro versione. Devo ringraziare il fotoreporter Saverio Nichetti e la giornalista Martina Micciché che erano lì in quei giorni di presidio e mi hanno dato il loro materiale. La questione non è chiusa e anche il finale del film è un punto di domanda. Si cerca di ignorarci e zittire il dissenso, perciò ho voluto fare il film, che nel terzo atto affida la speranza di cambiamento ai bambini».
Come viene accolto il film? «Abbiamo avuto finora più di cinquanta richieste dai cinema. Siamo stati a Milano, Bologna, Firenze, Perugia, Roma, Napoli, ora Pescara. Dappertutto tanta gente, attenta e partecipe. È importante diffondere il messaggio, è un movimento che parte dal basso. Un film è come un libro, non è nulla se non viene visto e discusso».
Riuscirà a far arrivare il messaggio animalista e vegano in una regione “carnivora” come l'Abruzzo, terra di arrosticini, braci e grigliate?
«Anch'io mangiavo gli arrosticini, ho mangiato la carne fino a trent'anni. Cambiare si può, mia mamma è diventata vegana a 52 anni. Ho scoperto i santuari tanti anni fa. La violenza che c'è stata a Sairano è un punto di ingresso, un motivo per far empatizzare le persone. Anche tra noi umani c'è odio e violenza, ma l'odio può essere trasformato in amore, per far capire perché quelle persone erano lì. Anche le tradizioni possono cambiare col tempo, specie ora che abbiamo tante informazioni, anche su come vengono prodotti gli arrosticini. Stiamo distruggendo il pianeta, se vuoi bene a te stesso non mangiare la morte, la merda, la malattia. Per allevare gli animali vengono distrutti campi dove si potrebbero coltivare il mais, il grano per sfamare le persone».
Faccio l'avvocato del diavolo: non crede che le azioni e il linguaggio radicali di animalisti e ambientalisti possano allontanare, irritare le persone anziché sensibilizzarle?
«Ci sono diverse maniere di protestare, non posso dire cosa sia giusto o non giusto, ognuno fa quello che ritiene giusto nel proprio cuore. Siamo ottimisti però che questo film possa aprire la visione del mondo alla gente. Io cerco di raccontare la mia prospettiva della vita, non dico “devi fare così”. Il film è un documento, ti mostra le cose, la verità che è stata soppressa, tant'è che non è stato prodotto un verbale dell'accaduto. Certo, la verità può spaventare la gente, ma questo film in mezzo alla sofferenza lascia un senso di amore. Voglio rispondere con amore alla violenza».
Vent'anni fa lei ha lavorato all'Arca, alla biglietteria e come maschera. Che effetto fa tornare da autore?
«Ho lavorato lì per due anni, ho fatto un po’ tutto, pure il proiezionista, un’esperienza molto bella che mi ha dato la voglia di raccontare storie che possano aiutare a migliorare un po’ il mondo. Che effetto mi fa? Onestamente ancora non riesco a capire cosa sta succedendo. È sempre stato il mio desiderio nel cassetto mostrare il mio lavoro a casa. Ma alla fine non importa la mia presenza, io sono solo un mezzo per portare queste storie alla gente, voglio che arrivino alle persone per il cambiamento».
Come si è avvicinato al cinema professionale? Quali le visioni e gli incontri decisivi?
«In America ho studiato cinema in una scuola pubblica serale, dove mi sono appassionato al montaggio. Per cinque anni ho fatto il cameriere, mi sono mantenuto così. Nel 2013 da Montebello mi sono trasferito a Hollywood. Ho bussato a tante porte prima di avere un'opportunità con Ads, compagnia di produzione che lavora nella pubblicità e marketing. È stata una grandissima lezione, ho imparato la tecnica dell'editing (il montaggio, ndc). Mentre studiavo cinema ho iniziato a fare cortometraggi, vincendo anche dei premi. Nel 2018 ho visto il documentario Unity di Shaun Monson che mi ha stravolto la vita, perché mi ha mostrato la forza dello storytelling. Amo i film realistici, la loro forza nell'affrontare e raccontare la realtà. Ho iniziato a lavorare da freelance con organizzazioni che difendono i diritti degli animali e lì ho capito quanta sofferenza c'è. Ho collaborato proprio con Monson, autore di Earthlings (sconvolgente documentario del 2005 narrato dall'attore e animalista Joaquin Phoenix, disponibile su YouTube, ndc). Un onore lavorare con lui, una collaborazione che mi ha stravolto la vita. Ora sto montando un suo film. Ho anche collaborato con Joaquin Phoenix a tre corti, tra cui Liberty, sul salvataggio di un vitellino e della sua mamma dal mattatoio».