Hotel Rigopiano, strada sommersa dalla neve: acquisiti i video del Centro

Due mesi fa la tragedia dell'albergo: così la procura ricostruisce le ragioni del blocco tra Farindola e Rigopiano che intrappolò 40 persone (11 i superstiti)

PESCARA. Una strada lasciata senza spazzaneve per più di un giorno e, poi, sommersa dalla neve alta due metri e più. Questo si vede nei filmati girati dai giornalisti del Centro sulla strada Farindola-Rigopiano la sera del 18 gennaio scorso, subito dopo la valanga, e durante la notte tra il 18 e il 19. Nove video che, adesso, sono entrati a far parte dell’inchiesta aperta per omicidio colposo plurimo e disastro colposo: i carabinieri forestali, su disposizione del procuratore capo Cristina Tedeschini e del pm Andrea Papalia, hanno acquisito quei filmati. Ore e ore di riprese fatte dopo la valanga che quel mercoledì, intorno alle 16,40, ha raso al suolo l’Hotel Rigopiano, un edificio di 4 piani abbattuto come un castello di sabbia dalla forza impressionante di 120 mila tonnellate di neve, alberi e detriti. Un paradiso diventato una tomba per 29 persone (11 i superstiti).

 

Strada impossibile. L’inchiesta è ancora senza indagati ma la procura è pronta a stringere il cerchio e a contestare gli addebiti: Tedeschini e Papalia sono in attesa di ricevere l’ultimo rapporto, quello decisivo, da parte dei carabinieri forestali guidati dal tenente colonnello Annamaria Angelozzi. Dopo una raffica di interrogatori di testimoni, acquisizioni di atti e sequestri di documenti, l’indagine resta coperta dalla riservatezza ma l’acquisizione dei video del Centro indica la via intrapresa. Perché la strada tra Farindola e Rigopiano – 8 chilometri in cui dalla località Mirri di Farindola posta a 530 metri di altitudine si sale fino ai 1.200 metri dell’albergo – è di competenza della Provincia di Pescara. E allora chi avrebbe dovuto tenere pulita dalla neve quella strada consentendo a ospiti e dipendenti di lasciare l’albergo? Una domanda che sembrerebbe contenere già la risposta: per l’accusa, la responsabilità del mancato sgombero della neve ricadrebbe sulla Provincia.

Caos turbina. E porta alla Provincia anche un’altra circostanza, sospesa tra negligenza e superficialità: dal 6 gennaio scorso, è rotta la turbina (di proprietà della Provincia) di stanza proprio a Rigopiano e si trova ancora in un’officina. La turbina ha subito la rottura di un braccio meccanico: un guasto tra 15 e 20 mila euro, quantificato subito da un meccanico con giorni di anticipo sulla slavina. Un danno che, a detta del meccanico, interrogato, avrebbe richiesto tempo per essere riparato a causa della difficoltà di trovare i pezzi di ricambio: quindi, in Provincia, qualcuno di certo sapeva che la turbina non sarebbe tornata presto in servizio e che la zona di Rigopiano ne sarebbe rimasta sprovvista. Negligenza o superficialità? A peggiorare il quadro, poi, due nevicate, una dopo l’altra ma previste con anticipo. E acquisendo i verbali di quei giorni, gli investigatori non hanno trovato niente che parlasse di sostituire temporaneamente quella turbina rotta con un altro mezzo. Perché, nonostante le normali previsioni meteo che già parlavano di nevicate eccezionali, si è aspettato fino alla mattina del 18 per lanciare l’allarme e chiedere una turbina addirittura al governo?

Troppo tardi. Secondo l’accusa, le istituzioni si sarebbero messe in moto troppo tardi: risale alle 13 del 18 gennaio un disperato appello del presidente Pd della Provincia Antonio Di Marco al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. «Facendo propri gli allarmi pervenuti dai sindaci del territorio», dice la lettera, «nel dichiarare lo stato di emergenza per la provincia di Pescara, chiede di avere a disposizione immediatamente mezzi turbina per liberare dalla neve le strade provinciali e comunali». Ma a quell’ora mancavano già meno di 4 ore alla valanga e nessun mezzo avrebbe potuto liberare la strada Farindola-Rigopiano. Neanche una turbina dell’Anas che, il 18, era in servizio tra Guardiagrele e Penne e che nessuno ha contattato se non dopo la tragedia.

Abbandonati. Una strada che, come raccontano i video del Centro, è rimasta abbandonata almeno fino alle 20 del 18 gennaio quando si è capito che l’allarme lanciato fin dalle 17,08 dal cuoco sopravvissuto Giampiero Parete era vero. L’ultima pulizia era stata fatta il 17 intorno alle 13 e la turbina si è trovata davanti un muro di neve difficile da eliminare. Tanto che ci sono volute circa 10 ore per arrivare all’albergo (durante l’operazione la turbina è rimasta addirittura ferma perché il gasolio era finito).

Prefettura. Per ora, la mancata pulizia della strada resta uno dei fronti principali dell’indagine. Così importante da sminuire le responsabilità degli altri enti coinvolti. In base alla lettura dei fatti dell’accusa, la prefettura di Pescara potrebbe uscire indenne: l’unità di crisi è entrata in servizio solo il 18 a mattina, a tempo ormai scaduto. A causa degli interventi non fatti il 17, la mattina seguente, ospiti e dipendenti del Rigopiano si sarebbero svegliati come condannati a morte a causa della troppa neve.

 

Regione. Si sgonfia anche la responsabilità della Regione per l’assenza della Carta del rischio delle valanghe, un documento che avrebbe dovuto essere approvato nel 1992 e che invece non è ancora pronto neanche adesso: a distanza di 25 anni è un’omissione troppo lontana nel tempo che potrebbe non configurare un reato ma dipingere la solita inerzia dell’amministrazione all’italiana.

Comune. L’altro ente che, invece, rischia è il Comune di Farindola: il sindaco Ilario Lacchetta ha messo in campo una squadra di avvocati e periti per svolgere indagini di parte e, durante una conferenza stampa, tutti hanno ribadito che quella valanga era «prevedibile». Anche perché il rischio valanghe segnalato dal bollettino Meteomont era alto da almeno due giorni prima della slavina. Ma la dichiarazione del Comune potrebbe rivelarsi un boomerang: l’amministrazione intendeva “scaricare” la responsabilità sulla Regione e sulla mancata approvazione della Carta del rischio valanghe e, invece, ora gli inquirenti si domandano se anche il Comune non fosse stato in grado di prevedere un incidente del genere.

Commissione sparita. Una domanda che, secondo l’accusa, troverebbe una risposta nella commissione comunale valanghe cancellata 12 anni fa: la commissione non si è più riunita dal 2005. Eppure, proprio tra il 1999 e il 2005, nel territorio del paese si contano tre slavine, tutte a poca distanza dall’Hotel Rigopiano. Di quella commissione faceva parte anche la guida alpina Pasqualino Iannetti che, per primo, lanciò un allarme sulla pericolosità dell’area ma nessuno ne tenne conto. Anche Iannetti è stato ascoltato come testimone. E ha raccontato che, in una relazione, scrisse che era a rischio la zona vicina al rifugio Acerbo, poco più su dell’albergo: all’epoca, nei pressi c’era solo un campeggio e l’hotel non era stato ancora ristrutturato (i lavori sono stati fatti nel 2007).

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