Appalti Expò, l’aquilano Acerbo agli arresti domiciliari

Corruzione e turbativa d’asta nell’inchiesta della procura di Milano: sotto accusa una consulenza da 30 mila euro per il figlio
L’AQUILA
Antonio Acerbo, l'ex responsabile del Padiglione Italia di Expo, originario dell’Aquila, è finito agli arresti domiciliari nell'ambito dell'inchiesta dei pm di Milano Claudio Gittardi e Antonio D'Alessio insieme all'imprenditore Domenico Maltauro, il cugino di Enrico, e ad Andrea Castellotti, manager della società Tagliabue. Ad Antonio Acerbo circa un mese fa era stata notificata un'informazione di garanzia con l'accusa di corruzione e turbativa d'asta, reati, secondo l'accusa, commessi a Milano tra il 2012 e il luglio del 2013 in relazione all'appalto per le vie d'acqua. Sotto la lente degli inquirenti erano finiti alcuni contratti di consulenze sospette tra cui quello fatto ottenere al figlio (ora indagato per riciclaggio) da circa 30 mila euro. Nei giorni scorsi Acerbo si era dimesso dalla carica di sub commissario Expo e da quella di responsabile del Padiglione Italia. Il nuovo sviluppo dell’indagine su Expo deriva da perquisizioni e interrogatori successivi all’avviso di garanzia notificato ad Antonio Acerbo nelle settimane scorse che aveva portato alle sue dimissioni prima parziali e poi definitive. Tra le intercettazioni più significative ce n’è una che riguarda la seconda consulenza che avrebbe dovuto essere assegnata a Livio Acerbo, figlio del responsabile unico del procedimento e indagato per riciclaggio, oltre a quello da 30mila euro ottenuta da Maltauro tempo prima. A prometterla sarebbe stato Giuseppe Asti, ad della Tagliabue, ditta inserita nell’associazione temporanea delle imprese (Ati) che si aggiudicò la gara per le vie d’acqua. La consulenza alla fine non fu assegnata perchè, questa è la spiegazione di Asti in una telefonata agli atti dell’inchiesta, «non sapevamo che lavoro dargli». Asti, che è indagato, era stato sentito a settembre dai pm e le sue dichiarazioni sono considerate cruciali per ricostruire il «modus operandi» di Acerbo che avrebbe fatto favori alle imprese in cambio di lavori per il figlio.
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