Appello del sindaco sul pranzo d’asporto «Aiutiamo i locali» 

L’annuncio di Biondi rimbalza sui social, ma lo stop fa discutere Scorte alimentari inservibili, gli operatori sono contrariati 

L’AQUILA. L’appello è iniziato a rimbalzare sulla rete in chiave quasi romantica: «Se avete prenotato in un ristorante per San Valentino, andate comunque a ritirare da asporto. Sosteniamo i ristoratori...anche quello è amore». Un’idea a cui ha poi fatto eco il primo cittadino, Pierluigi Biondi, che si è rivolto direttamente alle tante persone che questa domenica avrebbero voluto pranzare o cenare fuori per la festa degli innamorati: «Continuate a essere vicini a queste attività ricorrendo all’asporto di cibi e pietanze da consumare poi a casa. I ristoratori», ha sottolineato Biondi, «hanno dovuto disdire moltissime prenotazioni pur essendosi attrezzati per accogliere famiglie e coppie. Pur comprendendo le motivazioni di tipo sanitario che hanno portato a questa determinazione non posso non manifestare sentimenti di grande solidarietà e vicinanza a tutti gli operatori di un comparto tra i più colpiti dalla pandemia, che garantisce lavoro e reddito a decine di famiglie, per il quale mi auguro possano giungere al più presto adeguati sostegni e indennizzi da parte del nuovo esecutivo nazionale. Nella giornata di San Valentino», ha detto ancora, «facciamo un gesto d’amore verso chi è in difficoltà». Molti ristoratori avevano fatto scorta di materie prime, l’ennesima spesa inutile.
LE REAZIONI. Un appello che ha suscitato entusiasmo tra i clienti e gli addetti ai lavori, anche se non sono mancate parole di denuncia nei confronti della situazione e delle tardive risposte da parte della politica. «Un atto di amore», bofonchia Carmine Giuliani, «sarebbe quello di fare a meno della tassa sui rifiuti, visto lo stato dell’arte». Una possibilità tutt’altro che scontata, come ricorda Davide Stratta del Garibaldi: «Il Comune è obbligato a riscuotere il tributo per lo smaltimento dei rifiuti urbani per non incorrere in procedure di infrazione in sede di Corte dei Conti. Le decisioni vanno portate avanti a livello nazionale. Lo scorso anno, pur avendo lavorato regolarmente nei mesi di gennaio e febbraio e pur avendo respirato nella fase estiva, abbiamo registrato perdite per il 60%. Quest’anno, se le cose non cambiano, rischiamo di andare incontro a un 75% di perdita. La situazione è drammatica. I ristori cambiano poco o niente. I decreti che portano questo nome hanno tante voci». Sulla stessa linea Simone Laurenzi, della birreria Gran Sasso. «Martedì ci tocca pagare l’Inps», ricorda, «in un periodo in cui siamo in affanno. Posso dire di aver avuto i sostegni regolarmente, ma come garantire il futuro della mia attività e dei miei dipendenti?». Pietro Baldoni, amministratore di un’impresa titolare anche di locali che ospitano attività di ristorazione, ricorda le cifre di questa situazione: «Danni per 11,5 milioni di euro di mancati incassi solo per i ristoratori abruzzesi costretti a chiudere per il pranzo di San Valentino (10mila pubblici esercizi in Abruzzo), una situazione che antepone burocrazia a situazioni conviviali controllate (notoriamente a San Valentino si va a mangiare in coppia)». Ignorate – perché «mal supportate» dalla politica – le richieste di professionisti come Luca Ciuffetelli (bar del Corso) relative a una proroga della zona gialla di qualche ora per lavorare oggi, resta ora l’asporto come unica risorsa. «L’asporto», avverte però Massimo Battista del Tavernacolo, «è costoso in termini di packaging e di ecologia. Un cliente che viene a mangiare direttamente, poi prende il caffè, qualche volta un calice di vino o un dolce, con l’asporto si perde questa entrata. I pasti sono comunque la metà di quello che si fa in presenza. Gli impiegati che vengono da me per un piatto di pasta, dopo qualche minuto, sono negli uffici e mangiano un pasto relativamente piacevole. Gli operai il pasto devono mangiarlo nel cantiere ghiacciato, una cosa da terzo mondo quando a tavola sarebbero seduti, e al caldo, non più di 10 minuti». Anna Lunadei, madre di un ristoratore, non nasconde le sue perplessità: «Umiliante essere costretti a chiedere alla gente di portare il pane a casa. Questo è il risultato di un sistema che costringe i professionisti a supplicare per poter lavorare». Gianni Agnesi che lavora agli Infusi dell’Eremo (liquori e prodotti tipici), non nasconde poi la sua preoccupazione per il fatto che la filiera di beni e servizi a supporto della ristorazione è stata lasciata senza aiuti. Ma c’è anche un altro settore in forte difficoltà: quello dei locali che lavorano con le cerimonie. Parliamo di luoghi come La Cartiera del Vetoio, praticamente fermi da oltre un anno, come se il lockdown non fosse mai finito. «Non abbiamo aiuti di alcun tipo», sottolinea Luca Taralli. «Nonostante questo, paghiamo tasse come se lavorassimo».
©RIPRODUZIONE RISERVATA